Rimini. L’insegnante Daniele Dominici (Alain Delon) si lega a un gruppo di amici con la passione per il gioco d’azzardo, le donne e la bella vita. Tra di loro c’è anche Gerardo (Adalberto Maria Merli), che esce con la bella Vanina Abati (Sonia Petrovna), alunna di Dominici, che proprio con il professore comincia una relazione. Nonostante la scoperta del passato tormentato della giovane e le minacce della madre di lei (Alida Valli), i due vorrebbero fuggire insieme, ma gli scrupoli di Daniele verso la compagna Monica (Lea Massari) saranno fatali.
Indian Summer
Italia/Francia 1972 (132′)
Per raccontare la provincia romagnola con un nichilismo e un romanticismo in mirabile equilibrio, Zurlini scrive da sé il soggetto e sceneggia, con la collaborazione di Enrico Medioli, uno dei quadri esistenziali più foscamente romantici e disperati del cinema italiano. Ne esce un racconto in cui la nebbia che aleggia sulle strade e sul mare (mirabile la scena d’apertura coi velisti stranieri che approdano al molo) è anche la condizione interiore di tutti i personaggi. Grazie a un cast affascinante (indimenticabile lo Spider interpretato da Giannini), costruisce una galleria di personaggi gravati da colpe “veniali” ma che nondimeno si arrendono a un’esistenza senza possibili redenzioni. Il regista non solo rende con efficacia l’atmosfera decadente, ma riesce a rendere funzionali le citazioni letterarie di Dominici, caricandole delle delusioni e dell’impotenza della sua mediocre condizione borghese. Il motore delle azioni del protagonista diventa infatti, man mano che la storia procede, la disperata corsa verso un possibile futuro che non arriverà mai. Basterebbero solo la sequenza in discoteca sulle note di Domani è un altro giorno di Ornella Vanoni e il tragico finale a restituire la grandezza del film. Un apologo lucido e amarissimo, che è anche un esemplare documento d’epoca. Memorabile Alain Delon in una prova di dolente intensità. Fotografia di Dario Di Palma, musiche di Mario Nascimbene. Nella pellicola appare la Madonna del parto di Piero della Francesca, affresco che, diversi anni più tardi, apparirà anche in Nostalghia di Andrej Tarkovskij.
longtake.it
Un altro appuntamento estivo che vale la pena di non perdere in sala, anche per ritrovare un Alain Delon insolitamente tenuto a freno, ma proprio per questo più affascinante che mai (e la sua mise – cappotto di cammello e maglione girocollo – si impose subito come una delle iconografie più celebri del divismo anni Settanta). Qui è un professore di italiano con un passato misterioso e un matrimonio ormai finito che si innamora di una allieva, finendo però per scatenare rabbie e violenze. Un melodramma di ascendenze viscontiane che diventa una specie di radiografia della vita di provincia, capace di denunciare lo svilimento di una società dove l’unico valore è diventato il denaro, il sesso è una moneta di scambio e l’amore una sorta di irrealizzabile utopia. E lo fa con una sensibilità rara nel cinema italiano, attraverso una messa in scena volutamente “fuori misura” (tutto il segmento finale, col regolamento di conti nella casa disabitata, esibisce un turpiloquio cui il pubblico dell’epoca non era abituato) dove la volgarità del presente è continuamente sfidata da un protagonista inafferrabile, malinconico e misterioso, con cui il regista evidentemente si identifica.
Paolo Mereghetti – iodonna.it
Non c’è più la ‘dolce vita’ di Fellini anche se Zurlini, reduce dai flop di Le soldatesse e Seduto alla sua destra recupera soprattutto la vuotezza di quei festini, filmini proibiti, dialoghi per coprire il nulla esistenziale. La memoria intima di Cronaca familiare, il ritorno sulla riviera romagnola come luogo di isolamento e disperazione di La ragazza con la valigia, i frammenti della Guerra che arrivano smembrati da Estate violenta e Le soldatesse portano La prima notte di quiete in un punto di non ritorno del cinema di Zurlini, come se ci fosse una frattura col suo cinema precedente, anche se accomunato da quell’atmosfera crepuscolare in cui c’è sempre una strettissima connessione tra i personaggi e i luoghi. In più è accentuato lo scarto di chi li attraversa e ci capita di passaggio e chi invece li vive da sempre, con i suoi segreti nascosti evidenziati in una delle scene più forti del film, la scenata della madre di Vanina (interpretata da Alida Valli) a Daniele. Ci troviamo in una zona sospesa tra Bertolucci e Dario Argento. Ma era il 1972. Come Ultimo tango a Parigi anche La prima notte di quiete poteva apparire come un film suicida. Mentre in realtà oggi entrambi sono tra i titoli più forti, più irrinunciabili del cinema italiano di quel decennio. E non solo. Zurlini sembra essersi buttato con tutto se stesso sul personaggio di Dominici. Gli ha dato il suo cappotto cammello e il suo maglione. Ne ha quasi costruito un doppio, senza però caratterizzarlo eccessivamente. Nel suo sguardo nomade, alla ricerca del vuoto, dell’aria, del vento, ci spinge Alain Delon. In un rapporto strettissimo, tanto che sul set sembra esserci stato più di uno scontro tra regista e protagonista. Sempre sul precipizio di un abisso. Dove può cadere rovinosamente in ogni istante.
La nebbia, la camminata di Alain Delon sul molo. Qui il cinema di Zurlini abbraccia idealmente il Romanticismo. Lo fa già nell’immagine del mare in tempesta che sì, sembra arrivarti addosso lo schermo. Tumultuoso, come ciò che si agita nei personaggi nel cuore di una provincia che li tiene protetti ma che li isola. Ma anche attraverso la figura di Vanina – dove Zurlini contempla la bellezza di Sonia Petrova e la filma come se stesse componendo dei versi – ci sono dichiarate le reminescenze di Stendhal e del suo romanzo Vanina Vanini del 1829. Infine tutte le pulsioni di morte. Già segnate nella figura di Livia, la cugina Daniele morta suicida al quale il professore ha dedicato la sua raccolta di poesie, La prima notte di quiete appunto, verso che arriva da Goethe. Un viaggio sensoriale. Dove si scatenano gli elementi. Pioggia. Temporale. Folli corse in macchina. Estraneità al presente dove il movimento della contestazione diventa come impermeabile. Con le musiche di Mario Nascimbene (collaboratore di De Santis e dell’ultimo Rossellini che aveva già lavorato con Zurlini in Estate violenta) che potrebbe essere una partitura autonoma da concerto che richiama quelle immagini, a partire dalla camminata senza meta di Alain Delon. Un cinema quindi astratto. Che potrebbe essere anche una ‘maladie d’amour’ girato in costume. Ma al tempo stesso anche un horror gotico tra Bava e Barilli e un dramma sentimentale con le tracce di Pietrangeli (a cui Zurlini aveva terminato il suo Come, quando, perché dopo la morte del regista di Io la conoscevo bene) evidente nel poster di Luigi Tenco e soprattutto nel grandioso gioco tra i movimenti del ballo lento e il gioco di sguardi a tre tra Daniele, Vanina e il fidanzato della ragazza Gerardo in discoteca sulle note di Domani è un altro giorno di Ornella Vanoni. Le luci verdi, blu e giallastre si alternano sui loro volti. Un continuo dondolio. La quiete prima della tempesta di uno dei film italiani più belli di sempre.
Simone Emiliani – sentieriselvaggi.it