Madrid, 1980. Enrique Goded, giovane regista in cerca di una storia per il suo film successivo, si imbatte in Juan, che si spaccia per Ignacio, ex compagno di collegio di Enrique. Un doloroso passato riaffiora e sconvolge le loro esistenze.
Spagna 2002 (105′)
Al suo sedicesimo lungometraggio, Pedro Almodóvar ha intrapreso un inquietante ma al contempo suggestivo viaggio alle origini dei suoi tragici ricordi adolescenziali (le sevizie in ambito clericale in primis), oltre che alle ragioni della creazione artistica e della trasposizione di bios e pathos, realizzando un dramme dalle tinte fosche che tocca tangenzialmente il noir per sfociare in un appassionato melodramma. Dal punto di vista narrativo, il film interseca diversi piani di lettura, diventando un vero e proprio mosaico dell’anima. La vicenda viene ricostruita su tre livelli: quello del racconto vero e proprio, quello della sua trasposizione nel film e infine la rappresentazione che, della stessa storia, si attua nella pellicola che vediamo. Il vissuto del regista, presente come in tutti i suoi film, è “contaminato” e metabolizzato: attraverso una raffinata operazione estetico-formale, la materia di cui è composto lo sfaccettato universo almodovariano diventa prima di tutto una fine riflessione sul cinema in un osmotico gioco di rimandi e citazioni, dove il confine tra realtà e finzione, seppur con qualche vizio di troppo, acquista ancora più fascino che in passato. Fin troppo ricchi di collegamenti e rime interne, i piani della narrazione scorrono l’uno sull’altro non senza qualche forzatura. Attori superbi e grande atmosfera, grazie alle luci sature di José Luis Alcaine.
longtake.it
Un film fatto per chiudere i conti con la propria infanzia, anche se Almodovar più che di sé parla della Spagna, della fine del franchismo e di quel bagno improvviso di libertà in cui molti si bruciarono le ali. Una storia di passioni rovinose ed estreme, di preti che seducono bambini, di ragazzi che seducono adulti, di fratelli che prendono il posto di altri fratelli, per invidia, per ambizione, per gelosia. In una catena di amori e vendette in cui nessuno è veramente innocente ma nemmeno i peggiori sono del tutto colpevoli, perché ogni boia può nascondere una vittima (e viceversa), solo la droga è il male assoluto, tutto o quasi si può fare in nome della passione. Che è anche la parola da cui viene invaso lo schermo nell’ultima scena de La mala educaciòn. Un film così profondamente gay che i personaggi sono tutti di sesso maschile con le fugaci eccezioni di tre figure ancillari, una madre anziana, una nonna decrepita e una sarta che compare pochi attimi sul set del film nel film. Perché La cattiva educazione, titolo da prendere alla lettera, è anche un irriferibile racconto a scatole cinesi; un film-matrjoska pieno non solo di travestimenti e ricatti, ma di storie che contengono altre storie, di racconti che diventano film, di citazioni di ogni tipo, com’è da sempre nello stile cinefilo di Almodovar. Anche se qui il cinema, oltre che selvaggia scuola d’arte e di vita, diventa specchio, rifugio, luogo di iniziazione sessuale. Nonché mestiere di uno dei due protagonisti, regista alla Almodovar (con le dovute differenze), che un giorno si vede consegnare da un ex compagno di scuola, suo primo amore, il racconto neanche troppo fantasioso della cattiva educazione ricevuta dai preti. (…) Questa storia tutto sommato lineare ne nasconde una assai più torbida, un intricatissimo noir in cui la dark lady è un maschio, il messicano Gael Garcia Bernal, che interpreta sia il misterioso attore-scrittore sia il travestito con un’innocenza e un trasporto che danno anche alle più esplicite scene gay un pathos inconsueto perfino per Almodovar. Magari Tutto su mia madre e Parla con lei erano meno soffocanti, più nuovi, emozionanti e vitali. Magari il vertiginoso gioco di specchi de La mala educaciòn risulta più privato, meno sorprendente. Ma forse è presto per dirlo, film così vanno meditati, metabolizzati, ne riparleremo alla fine del festival.
Fabio Ferzetti – il Messaggero
La mala educación è un film incantevole che partendo da uno spunto autobiografico, i dolori del giovane Pedro nei collegi dei preti anni ’60, attinge a una sfrenata fantasia romanzesca. (…) Spazia tra passato e presente divertendosi a sottolineare come la vita si trasforma in melò e viceversa, propone inganni molteplici, scambi di persona, ritorni di personaggi spariti e sparizione di altri. Sul piano della narrazione Almodóvar sfoggia un’abilità da giocoliere, a volte sfidando la logica e la credibilità, ma ci mette un tocco ironico e perfino ilare che impreziosisce l’ assunto tragico; e anche un palpito assolutorio che coinvolge i personaggi più negativi. Non esistono cattivi, solo esseri umani travolti dalla passione, la parola chiave della poetica di Pedro che non a caso risuona a suggello del film. I torbidi ricordi sono riscattati dalla tolleranza che viene con la maturità, le scene di violenta attrazione omosessuale (qui le donne contano poco) sono presentate con garbata naturalezza. Fra gli interpreti, tutti perfetti, spicca Gael García Bernal in una triplice incarnazione toccante e virtuosistica.
Tullio Kezich – Il Corriere della Sera