Nella loro casa sul mare a Isla Negra, l’imprenditore Guillermo e la sua assistente Carmen stanno trascorrendo il fine settimana ripassando le fasi finali di un grande progetto immobiliare nella zona. La loro tranquillità viene sconvolta dall’arrivo inatteso di una donna in compagnia del marito e del padre ammalato. Poco alla volta l’atmosfera si fa sempre più tesa, generando un conflitto che rivela profonde differenze politiche e sociali e scatena una lotta che si fa espressione delle divisioni e dei rapporti di forza della moderna società cilena.
Cile 2024 (97′)
TORINO – Niente è come sembra in questo film di Jorge Serrano presentato fuori concorso. Una coppia apparentemente molto affiatata sta trascorrendo una vacanza in una bella villa sul mare nella località sulla costa cilena, resa famosa anche dalla presenza della casa di Neruda. Scopriremo però che il loro rapporto non è quel che sembra. Gli indigeni di etnia Mapuche che si sono accampati sugli scogli di fronte alla villa sembrano dei poveri diavoli disperati e innocui. Ma quando questi due mondi così apparentemente lontani e diversi si incontreranno da vicino inevitabilmente si arriverà a uno scontro anche violento.
Il proprietario della casa Guillermo (uno splendido Alfredo Castro) si scoprirà essere il responsabile del progetto di costruzione di un lussuoso complesso residenziale, che prevede lo sfratto degli abitanti locali, progetto a cui collabora Carmen, con la quale l’uomo intrattiene una relazione extraconiugale. Mentre Guillermo appare da subito molto infastidito dalla presenza dei tre estranei all’interno della sua proprietà, Carmen ha inizialmente un approccio più disponibile, almeno fino a quando questi non invadono la villa, chiedendo, anzi, imponendo di poter ricoverare in un posto caldo il vecchio padre morente. A questo punto il film vira su toni dark, con una tensione sempre crescente man mano che le richieste degli occupanti si fanno più pressanti e violente e le reazioni degli “occupati” si rivelano del tutto impotenti. È una situazione per la quale i riferimenti cinematografici illustri non mancano, da Bunuel a Scorsese da Haneke a Bong Joon-ho, ma che Serrano rappresenta rispettando le regole della suspence e nello stesso tempo proponendo una riflessione più ampia sui problemi sociali che il Cile sta affrontando: in particolare la crescente difficoltà di avere una abitazione per le classi meno abbienti, in una situazione di sempre maggior disuguaglianza sociale ed economica. Il film si basa su fatti realmente accaduti, cioè quelli che hanno portato alla gentrificazione di tutto un territorio, con l’esproprio delle case dei pescatori che vivevano a Isla Negra per favorire la costruzione di villaggi residenziali destinati a una classe agiata. Miguel Sotomayor, al quale il film è dedicato, e al quale è ispirato il personaggio del vecchio padre, era uno di questi pescatori. Un uomo che, nonostante la malattia che lo avrebbe portato alla morte, ha lottato sino alla fine dei suoi giorni per evitare che la comunità della quale faceva parte, venisse sfrattata ed espulsa dal luogo in cui viveva. Al di là dell’intento dichiarato dall’autore di denuncia sociale, l’aspetto forse più interessante del film riguarda però il modo in cui Serrano sa rappresentare il progressivo deterioramento dei comportamenti dei personaggi e dei loro rapporti all’interno di una situazione di grande stress emotivo. Come d’altra parte il regista aveva fatto nel film precedente Algunas Bestias presentato sempre a Torino nel 2019.
Come reagiamo noi borghesi benestanti quando il nostro mondo viene minacciato da vicino, invaso da chi pretende di essere risarcito per le ingiustizie subite? Serrano giocando sapientemente sulla profondità di campo mette bene in evidenza il solco netto esistente tra le due classi, i cui rappresentanti, in questa commedia dell’orrore, sembrano far uscire, chi più chi meno, il peggio di sé, con la sola eccezione del povero morto.
Cristina Menegolli – MCmagazine 98