Innocence

Guy Davidi

Dieci anni di lavoro per realizzare una storia che racconta Israele tramite il suo esercito. O meglio, tramite gli occhi, i diari e i filmati familiari di alcuni giovani chiamati alle armi e che non hanno resistito a questa imposizione alla violenza. “Fino a che punto la narrazione dell’olocausto è storia e quando diventa invece uno strumento politico?” Con questa domanda il regista Guy Davidi interroga il suo Paese e realizza un atto di accusa contro le politiche che educano al culto delle armi e della guerra.

film edito solo in Versione Originale Sottotitolata –
Danimarca/Israele/Finlandia/Islanda 2022 (100′)

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   Dallo stesso regista apprendiamo che Innocence è stato un progetto elaborato, per la cui realizzazione è stato necessario impiegare molto tempo per recuperare, presso le famiglie i diari, le poesie o comunque le testimonianze scritte dei soldati israeliani che si sono tolti la vita durante il servizio militare. Oltre 700 i casi che Guy Davidi ha raccolto con l’aiuto dei familiari non sempre disponibili, per ragioni di sicurezza, a concedere questi materiali. Innocence, presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia, al pari del cinema di Avi Mograbi ad esempio, diventa un durissimo atto d’accusa contro ogni pensiero dominante che educa, fin dagli anni della prima infanzia, gli israeliani al culto della guerra e delle armi con vere e proprie lezioni durante le ore scolastiche, quando i ragazzini prendono confidenza con le armi da guerra e con i dispositivi bellici. Il film racconta silenziosamente e senza enfasi, anzi nel tono sommesso di una verità assoluta, la strisciante ideologia della violenza sottesa a questa pratica che guida la formazione dell’infanzia. Ma sono molti i giovani, uomini e donne, che non si riconoscono nel pensiero dominante e che rifiutano di adeguarsi alla pratica delle armi per legittimare la soluzione violenta degli eventi. Ma il servizio militare obbligatorio impedisce, di fatto, ogni rifiuto, con la conseguente mortificazione del diritto al dissenso. Davidi attraverso i reperti filmati conservati dalle famiglie o i diari segreti che qualcuno di loro vorrebbe fare scomparire dopo la propria morte, ci fa conoscere alcune delle vite di questi giovani che, diversamente, dalla maggioranza, non solo rifiutano ogni relazione con le armi, ma sono costretti a vivere una insostenibile contraddizione che logora le loro esistenze. (…) Innocence rompe un lungo e colpevole silenzio, si aggiunge a quel cinema del dissenso che si fa strada in Israele gettando una potente luce su questi eventi che oscurati da ogni informazione non fanno cronaca, ma pesano come una dolorosa eredità che si fonda e si tramanda grazie alla complicità del silenzio e alla diffusa responsabilità del potere.

Tonino Di pace – sentieriselvaggi.it

   Il documentario colpisce immediatamente per il modo in cui riesce ad essere brutalmente concreto e incredibilmente poetico. I video di quattro bambini, nello specifico, li mostrano mentre parlano con disinvoltura del loro imminente servizio militare e, al tempo stesso, anche di cose normali da bambini. Alcuni di loro vengono visti in vari momenti della loro brevissima vita: sono bambini che ballano in casa o adolescenti che fanno film in stop-motion nelle loro camere da letto. Questa sensazione di immediatezza ed intimità è accompagnata dalle annotazioni, lette in voce fuori campo e prese dai loro diari e da quelli di altre giovani leve non note o non menzionate. In questi estratti, ognuno parla con straziante eloquenza delle proprie speranze per il futuro e, nello specifico, del servizio di leva. Presentato in maniera più diretta, questo materiale sarebbe stato comunque di grande impatto. Ma anziché limitarsi a documentare i fatti e i pensieri di questi soldati morti in addestramento, Davidi cerca anche di farci immedesimare nel loro stato d’animo: i giovani soldati sono soli, alienati da se stessi e da tutti quelli che li circondano, carichi di un senso di colpevolezza e disperazione.

La struttura impressionistica ed onirica del film riecheggia quindi il tormento psichico dei suoi protagonisti, dei quali veniamo progressivamente a conoscenza del loro crescente senso di disgusto alla sola idea dell’addestramento militare, un disgusto che, a sua volta, li ha fatti sentire soli ed isolati in una società in cui servire è un atto patriottico essenziale. (…) Innocence mostra i suoi protagonisti come vittime, ma mai come persone ingenue che hanno seguito le regole in modo insensato. Questi giovani uomini e donne che sono morti non erano troppo giovani per rendersi conto che uccidere è un atto grave, al contrario – il film di Davidi suggerisce che è la prima cosa che mostrano di sapere. Questa riluttanza a fare del male era la loro innocenza, e non è stata usata contro di loro; era semplicemente un ostacolo che doveva essere abbattuto. Il film di Davidi e le parole dei suoi protagonisti ci permettono di vedere la pressione soffocante a cui erano sottoposti, la loro disperazione alla sola idea di imparare ad uccidere e la sensazione schiacciante che, come scrive uno di loro, “non realizzerai mai i tuoi sogni. Non sarai mai libero di essere te stesso”.

Elena Lazic – cineuropa.org

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