Il pistolero

Don Siegel

Nevada 1901. John Bernard Books, famoso pistolero ormai anziano e malato, decide di ritornare a Carson City per regolare alcuni conti in sospeso prima di morire e per farsi visitare dal vecchio amico dott. Hostetler. È questi che gli diagnostica un tumore incurabile e lo invita a trascorrere serenamente le ultime settimane che gli rimangono. Books affitta così una camera in città presso la vedova Rogers che dapprima lo osteggia per il suo passato cruento, ma che poi si riappacifica con lui confortandolo nell’affrontare la sua amara vecchiaia. Il figlio di lei, Giffon, è invece fin da subito affascinato dal passato del pistolero e fa di tutto per conquistare la sua amicizia, arrivando ad instaurare con lui e la madre un solididale rispetto reciproco. In una settimana Books ha occasione di confrontarsi sia con il cinico sceriffo di Carson City sia con un ambizioso cronista del giornale cittadino, ha un amaro incontro un sua ex (Serepta) e deve difendersi da alcuni sicari che provano a sorprenderlo durante la notte, ma per il giorno del suo cinquantottesimo compleanno Books è pronto ad affrontare nel saloon i tre uomini di cui voleva vendicarsi riuscendo ad avere la meglio, ma sarà il barista a ferirlo mortalmente sparandogli alla schiena. Sta così a Giffon vendicarlo, raccogliendo la sua pistola e uccidendo il barista; poi, disgustato da tanta violenza, il giovane butta via l’arma.

The Shootist
USA 1976 (96′)

   Il crepuscolo del genere americano per eccellenza si specchia nel crepuscolo di J.B. Books, eroe-pistolero che è alla fine dei suoi giorni (“È solo un vecchio malridotto” dice di lui in apertura Giffon e il cronista del giornale lo avvicina per un’intervista al “più celebre pistolero estinto”), ma che ha ancora lo spirito indomito per fare giustizia di tre villains per i quali la sua vendetta non può transigere. Su questa idea (da un romanzo di Glendon Swarthout) Siegel imbastisce un tessuto narrativo ricco di sfumature, costruendo una commedia dolente e nostalgica che evidenzia con garbo l’avanzare del progresso (la luce elettrica, il telefono, il tram, “i calessi senza cavalli”) e gioca le sue carte migliori attraverso dialoghi tanto retorici quanto efficaci. Nel mettere a confronto il burbero protagonista con la volitiva padrona di casa che nell’accettarne l’amicizia non rinuncia a rinfacciargli i tanti assassini della sua carriera e con il giovane Giffon che invece per questo lo ammira senza remore, il film evidenzia ancora una volta le contraddizioni del western, tra l’epica di una responsabilità morale (“Io penso solo a fare giustizia. Non credo di non aver mai ucciso un uomo che no lo meritasse”) e l’affermarsi civile di codici e leggi (“Questo soltanto la legge può giudicarlo” gli ribatte la signora Rogers), tra il fascino imperituro di una natura selvaggia e accogliente (“La mia chiesa sono state le montagne, le praterie, niente porte”) e l’amara solitudine di chi ha avuto come compagni solo il corto winchester dalla leva rotonda e la pistola dal calcio giallo (“Il mio orgoglio non mi ha mai permesso di avere aiuto dagli altri, ora dovrò imparare”). Pochi i guizzi di regia (qualche bel carrello come quello all’interno del saloon) e se non mancano né le parentesi di sorridente ironia (la contrattazione con lo stalliere e il becchino, il feticismo del barbiere che “deborda” raccogliendo i capelli anche di un altro cliente), né momenti di azione concitati (l’agguato notturno), il ritmo di The Shootist sembra restare in surplace, in attesa dalla resa dei conti finale e dell’iniziazione del giovane Griffon: il suo lanciare lontana la pistola e il cenno di assenso da parte di Books prima di morire cercano di esorcizzare quella violenza di cui il West e il western non hanno mai potuto fare a meno.

Ezio Leoni


rimandi cinefili

 

interpreti: John Wayne (John Bernard “J.B.” Books), James Stewart (dottor E.W. Hostetler), Lauren Bacall (Bond Rogers), Ron Howard (Gillom Rogers), Scatman Crothers (Mosè), Harry Morgan (Sceriffo Walter J. Thibido), Rick Lenz (Dan Dobkins), Sheree North (Serepta), John Carradine (Hezekiah Beckum), Richard Boone (Mike Sweeney), Hugh O’Brian (Jack Pulford), Bill McKinney (Jay Cobb).

NOTE:
La voce fuori campo (di Giffon Rogers), che apre il film, fa “la presentazione” del protagonista (in originale leggermente diversa). “Il suo nome era J.B. Books e aveva una coppia dì colt 45 con impugnatura in avorio che erano una meraviglia. Non era un bandito, anzi per un certo periodo fu un uomo dì legge. Già molto prima che lo conoscessi io il signor Books era un uomo famoso. Forse la sua fama derivava dal fatto che c’era sempre qualcuno che cercava di fargli la pelle. Il selvaggio West gli aveva insegnato fa dura arte della sopravvivenza. Viveva la sua vita da solitario. Il suo credo era (e qui la voce è quella di Books): Non sopporto ingiustizie, non sopporto insulti, non sopporto prepotenze! Se qualcuno mi offende o tradisce prima o poi si aspetti la mia vendetta.

E le immagini che scorrono, cadenzate sugli anni (1871, 1880, 1885, 1889, 1895), sono spezzoni tratti da Il fiume rosso, Hondo, Un dollaro d’onore, El Dorado. Frammenti della filmografia di John Wayne, tappe della “carriera” di J.B. Books: interprete e personaggio si fondono in un perfetto processo metalinguistico!
Quando Books e i dott. Hostetler si incontrano, questi domanda all’amico: “Quanti anni sono passati, quindici?”; giusto il tempo trascorso da L’uomo che uccise Liberty Valance (1962), l’altra (unica) presenza insieme sul set di John Wayne e James Stewart.
Davvero mesto il calvario di Brook, sorretto solo dalla sua forza d’animo e dal laudano che tampona i suoi dolori, specie se rapportato con l’analoga sofferenza che porterà Wayne a morire per un cancro allo stomaco solo tre anni dopo (11 giugno 1979).
Durante le riprese le condizioni di salute di Wayne rendevano difficile per lui salire e scendere da cavallo. Così si può notare che quando Books arriva dal dott. Hostetler trova un provvidenziale gradino di cemento che gli facilita la discesa. Lo stesso gradino compare anche quando raggiunge la casa della signora Rogers, ma stavolta Books-Wayne non sente il bisogno di avvalersene…
Lo stalliere di colore si chiama Mosè, proprio come lo stranito personaggio di Sentieri selvaggi.
Conta qualche minuto in più la versione originale di The Shootist; tra questi sarebbe stato opportuno, nell’edizione italiana, mantenere almeno quello in cui si concludere uno scambio di battute tra Giffon e Books. Il ragazzo gli chiede “Ma come ha fatto a trovarsi in tanti duelli e uscirne sempre vincitore?”; nella versione edizione italiana sembra non esserci risposta, in realtà Books aggiunge “Ho scoperto presto che la maggior parte degli uomini, indipendentemente dalla causa o dalla necessità, esistano. Hanno un battito di ciglia o accennano un respiro prima di tirare il grilletto. Io non lo faccio”.
Il gesto di “rifiutare” un oggetto-simbolo da cui la propria morale è infastidita era già stato enunciato da Siegel nel suo Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! del 1971 (Eastwood si libera del distintivo), ma, restando nel western non possiamo non ricordare la stella fatta cadere nella polvere dallo sceriffo Kane in Mezzogiorno di fuoco (1952) e la pistola abbandonata dal giovane Ben Mockridge accanto alle tombe dei suoi compagni (Fango, sudore e polvere da sparo, 1972).

FRASI:
 Lo sceriffo: “Carson City è piena di uomini duri che darebbero l’anima per farla fuori. Lei qui attira la violenza come una carogna attira le mosche”.
Il dott. Hostetler a Books: “Noi apparteniamo ad un’epoca scomparsa”.
Lo sceriffo: “Lei non sparerebbe a uno sceriffo” – Books: “Tu non sei uno sceriffo sei uno stronzo”.

SEQUENZE:
Nel finire dei titoli di testa l’inquadratura di J.B. Books  passa da campo lunghissimo a campo lungo. per poi avvicinarsi quando viene minacciato da un bandito; l’esito della rapina è memorabile, sia a livello di azione che di etica della frontiera.
Lo scontro a fuoco nel saloon con il fatidico lancio finale della pistola.

 

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