Il Padiglione sull’acqua è un viaggio cinematografico nel mondo del defunto architetto veneziano Carlo Scarpa e della sua passione per la cultura giapponese. Attraverso le parole del figlio, di alcuni suoi collaboratori e di un filosofo giapponese, il documentario racconta la storia dell’artista e della sua ricerca del senso della bellezza.
Italia/Olanda/Gran Bretagna 2023 (78′)
Il documentario Il Padiglione sull’Acqua è un viaggio, estetico e poetico, nell’immaginario dell’architetto veneziano Carlo Scarpa e nella sua passione per la cultura giapponese. Il Giappone rappresentò per l’architetto un universo ispirazionale ma fu anche il luogo dove egli morì, nel 1978, all’apice della sua carriera, ripercorrendo misteriosamente i tragitti del poeta errante Matsuo Bashō. Attraverso le impressioni suggerite dal filosofo giapponese Ryosuke Ōhashi, la narrazione si sviluppa lungo il filo di una domanda, la domanda sul senso della bellezza. La possibilità di questa riflessione accomuna qui le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese. Venezia, nella veste di porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, e l’esplorazione incantata delle sue opere, sono l’occasione per rievocare la poetica ed episodi emblematici della vita dell’architetto, restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, dagli allievi e collaboratori, e dal ricercatore J.K. Mauro Pierconti. Un sentimento di nostalgia colora tutta la narrazione. Una nostalgia per quell’evento raro che è la nascita di un artista. Seppur ora abbia abbandonato questa terra, lascia in dono le sue opere e la meraviglia che esse tutt’ora suscitano.
caucaso.info
Note di regia
Il Padiglione sull’Acqua nasce da una ricerca dei registi che ha condotto alla realizzazione di un breve documentario su Carlo Scarpa (1906-1978) e Matsuo Basho (1644-1694), La Pietà del Vento (2014). Nel suo ultimo viaggio nel 1978 Scarpa intendeva raggiungere l’antica capitale giapponese Hiraizumi. Stava ripercorrendo i tragitti descritti dal poeta nel diario di viaggio che scrisse prima di morire, Lo stretto sentiero verso il profondo nord (1694). Scarpa non raggiunse mai Hiraizumi, morì in un tragico incidente a Sendai, nello stesso giorno in cui morì il poeta, il 28 novembre. Conciliando un’aspirazione poetica, che asseconda una sensibilità lirica e sognante, con un approccio filosofico, abbiamo voluto raccontare le opere dell’architetto veneziano, non solo per l’alto valore artistico che rappresentano, ma anche per la natura della sua figura, quale emblema di un incontro unico tra tradizione e modernità, tra Oriente e Occidente. Scarpa stesso amava definirsi: «Bizantino nel cuore, un europeo che salpa per l’Oriente». Il documentario ambisce idealmente, grazie ai mezzi del cinema, a rendere manifesta e a evocare la ricerca che egli operò in tale direzione. La narrazione è diretta lungo un itinerario ‘esperienziale’, in cui suggestioni artistiche, filosofiche e letterarie, materiali d’archivio, pensieri e memorie diventano elementi portanti per la ricostruzione del discorso colto ed emozionale di Scarpa. Nella convinzione che questa modalità narrativa conservi in sé un certo grado di esattezza, coerente con l’intrinseca impossibilità di circoscrivere l’esistenza e la creatività di un’artista in un ritratto compiuto e completo. E allo stesso tempo sia occasione per avvicinarsi ad un discorso dalla portata universale, quello sull’essenza dell’opera d’arte. L’opera scarpiana sembra porci con insistenza questa questione che, come in un enigma, richiede di essere risolta. Ma più ci si addentra in questo tentativo più il mistero su di essa si apre. Come se l’opera di Scarpa non potesse lasciarci indifferenti, e ci costringesse ad interrogarci continuamente, su più livelli, come artisti, intellettuali, esseri umani. Pur essendo indissolubilmente legata al contesto in cui è sorta, essa sembra presentare una forza capace di parlarci nel profondo, superando limitazioni geografiche e culturali. Come per entrare nelle case del tè realizzate da Sen no Rikyu (1522-1591) era necessario riporre le armi ed entrare da ‘pari’ – neppure il titolo nobiliare aveva peso in quel luogo – , nelle architetture scarpiane si entra con la mente e con il cuore in una disposizione particolare. Sono i luoghi stessi a richiederlo, loro stessi operano questa trasformazione.
Il film attraversa e ricostruisce l’amore dell’architetto Carlo Scarpa per il Giappone, che non rinnega le sue origini italiane ma le unisce fluentemente alla cultura giapponese. Il lavoro che attuano Stefano Croci e Silvia Siberini è una ricostruzione, con l’aiuto di alcuni collaboratori di Scarpa, del figlio e del poeta giapponese Ryosuke Ōhashi, di momenti salienti di questo grandissimo architetto del XX secolo che culminano proprio nella costruzione del cosiddetto “padiglione dell’acqua”, ovvero il memoriale Brion, situato a San Vito in provincia di Treviso. “Che cos’è la bellezza?” è il quesito che seguirà tutta la narrazione, sia attraverso immagini di repertorio ed elementi di archivio quali spezzoni di documentari, progetti e oggetti appartenenti a Scarpa, sia puntando lo sguardo su Venezia, il cuore pulsante che racchiude molte delle opere dell’architetto che si definiva “bizantino”. Camminare, galleggiare e, in un certo qual modo, nuotare nel memoriale Brion ripristina il ricordo scaturendo domande sulla funzione della memoria, rendendolo un luogo impossibile da riprodurre con i mezzi attuali, con la stessa cura, lo stesso dettaglio ma, soprattutto, lo stesso pensiero. Eppure, diviene comunque un’opera sospesa e mutevole. L’impermanenza di cui ci parla Ryosuke Ōhashi utilizzando il termine mujō è un sentimento di non eterno ma che non sottintende una fine, solo il cambiamento: tutto è transitorio, niente perdura.
È qui che si aprono discorsi sulla natura, sulla vita e sulla morte non in modo ma dettati dall’essenza di Scarpa e dell’utilizzo che faceva dell’architettura, mezzo per conciliare l’uomo col mondo e con tutto ciò che ne fa parte. Il padiglione sull’acqua dichiara che l’operato di Carlo Scarpa non può essere solo osservato, è manodopera artigianale in cui il materico trova un perfetto equilibrio diventando anche speculativo, riempiendosi di significati. Carlo Scarpa, dunque, supera la concretezza degli elementi architettonici e li poetizza, mostrando il suo amore totalizzante verso l’Arte e la letteratura sia orientale che occidentale. Nel ricostruire il senso di bellezza, i due registi con Il padiglione sull’acqua raccontano il tutto in modo elegante e fermo, portando sullo schermo una pellicola che può scatenare l’interesse di chiunque, anche di chi non conosce particolarmente l’architettura.
Eris Celentano – cinefacts.it
Si intitola Il padiglione sull’acqua il film di Silvia Siberini e Stefano Croci dedicato a Carlo Scarpa con un riferimento, già nel titolo, a quel padiglioncino, come lo chiamava lui, che l’architetto ha disegnato per il memoriale Brion. Un biopic che parla di Scarpa e del suo legame con il Giappone. Una fascinazione profonda, una conoscenza intima e anche un legame indissolubile con un mondo così lontano e così vicino da poterlo quasi respirare. Che cos’è la bellezza? È questa la domanda che accompagna il pubblico dall’inizio alla fine del lungometraggio, per coincidere in una risposta lunga quanto la vita di Carlo Scarpa e del suo lavoro. Si va nei suoi luoghi, quelli che ha realizzato e quelli dei suoi artigiani, quelli che ha vissuto e quelli che ha amato per riflettere sull’architettura, una possibile declinazione della bellezza. «Volevamo portare il pubblico in uno stato meditativo», spiega Stefano Croci, «per comprendere gli spazi di Scarpa. Ecco perché abbiamo scelto di intitolarlo Il padiglione sull’acqua: quella struttura era stata pensata da Scarpa per accogliere riflessioni sulla vita e la morte prima di accedere alla tomba Brion. Il nostro è un film sul suo insegnamento su cosa significhi fare un’opera d’arte».
Si va in Giappone, per visitare il tempio di Ise, un luogo magico, immerso nella natura, che esiste da oltre un millennio, ma che viene ricostruito ogni 20 anni, emblema di quel legame tra caducità ed eternità che in Giappone ha a che fare con il rinnovamento della vita e il suo presente, insieme a un esistere perpetuo. Come un bosco. Come l’acqua, come il tempo. Si va a Venezia, città magica fatta di acqua che scorre, sempre nuova, lungo edifici della storia dell’uomo. Si visita poi il memoriale Brion, opera eccezionale e forse la sintesi del pensiero di Scarpa, un luogo dove il filosofo giapponese Ryōsuke Ōhashi che interviene nel docufilm, si è sentito a casa: lo ha percepito contemporaneamente vicino e lontano. «Sentirsi insieme vicini e lontani è un concetto della cultura giapponese», spiega Silvia Siberini, che dopo la laurea in filosofia si è specializzata in Culture e Civiltà Orientali e in particolare in lingua giapponese, «è un’esperienza specifica di percepire due elementi contemporaneamente. E alla tomba Brion si traduce nell’esperienza di due dimensioni, quella occidentale e quella orientale, riunite in un unico luogo». Quell’esperienza diventa propria dello spettatore che entra piano nella lentezza di un film sul tempo di due culture così lontane e così vicine, raccontate attraverso lo spazio. «Abbiamo filmato in Giappone le stesse atmosfere presenti in Scarpa, l’acqua, la natura, le piante, i suoni creati dagli elementi naturali. C’è un ritmo che è sia musicale sia naturale».
Quello che viene a crearsi è un mondo, in cui il visitatore si immerge. Esattamente come nelle architetture di Scarpa: «La dimensione che si apre nelle sue architetture è quella dell’ascolto. Ma è un ascolto diverso, che deve avvenire con tutti i sensi, nella comprensione di una dimensione totale di chi vive gli spazi», spiega ancora Siberini. E lei insieme a Stefano Croci, per realizzare questo film, hanno trascorso un lungo tempo nei luoghi dell’architetto veneziano, li hanno ascoltati in stagioni diverse, in anni diversi con luci diverse, fino ad addomesticarli. Anzi, ad addomesticare se stessi a quei luoghi e a quelle luci, tra riflessi e giochi di ombre. Già, la luce. O meglio, l’ombra. Si può definire uno spazio grazie all’ombra? L’architettura di Scarpa in effetti è fatta di tagli di luce, di pieni che impongono passaggi stretti che illuminano un’oscurità, oppure determinano un passaggio dell’acqua. Ma è ancora la luce a disegnare gli esterni, continuamente invitati a giocare con i riflessi che creano negli specchi d’acqua, o con il passaggio del tempo sulle loro facciate, capaci di disegnare ogni volta lo stesso disegno che, minuti dopo, non sarà più. «C’è un libro molto amato da Scarpa che abbiamo usato come sottotetto ed è Libro d’ombra di TanizaliJun’ichirō», spiega Siberini. Che poi procede: «La parola giapponese Kire indica il taglio. Il taglio tra vita e morte, ma in ambito estetico ha applicazioni diverse, per esempio si usa anche nell’Ikebana: il fiore reciso ha un altro significato rispetto a quello che aveva un attimo prima di essere tagliato. Lo stesso accade con la luce: un taglio di luce caratterizza diversamente uno spazio d’ombra, come si vede bene nelle architetture giapponesi». E Scarpa? «Abbiamo voluto filmare tutto questo, per esempio lo abbiamo fatto nella gipsoteca canoviana», risponde Croci, dove il sole sull’acqua in movimento si riflette dietro le sculture del Canova, come a dimostrare l’uso architettonico della luce ad opera di Scarpa. Che è proprio l’architetto della luce».
Micol De Pas – internimagazine.it