Holy Rosita

Rosita lavora come assistente alla sicurezza nel club calcistico della sua città, un ruolo che le conferisce un senso di responsabilità e una rinnovata vitalità. Sempre con un sorriso sul volto, Rosita affronta la sua solitudine – abita in un modesto appartamento popolare – con le armi della cordialità e della disponibilità verso chiunque. Un sogno custodito nel suo cuore è quello di diventare madre. Tuttavia, quando rimane veramente incinta, decide di tenere la notizia nascosta.

Belgio 2023 (90′)

TORINO – Nello straordinario piano sequenza iniziale la macchina da presa con movimenti concitati e inquadrature sghembe insegue il volto iconico di Adrien Brody, fantasma polanskiano, che riprende vita da dove Il pianista l’aveva lasciato all’uscita dal campo di concentramento, mentre cerca di farsi strada tra una folla di immigrati nell’oscurità e nel caos di urla e voci di provenienze diverse. La sensazione claustrofobica si interrompe con l’apparizione della Statua della Libertà rovesciata, rivelazione allucinatoria di un incubo che non è ancora finito.

    Non mancavano certo i personaggi femminili, o meglio le storie di maternità tra i film in concorso al Festival di Torino in questo 2024, un epoca segnata da un crollo spaventoso delle nascite a quasi tutte le latitudini . E infatti dai paesi più diversi vengono queste storie di maternità agognate, rifiutate, subite, respinte, spesso fonte di problemi esistenziali quasi irrisolvibili. (Valga per tutti il film tunisino L’aiguille, con una coppia alle prese con la nascita di un bambino ermafrodito, in un paese che rifiuta il problema e dove non c’è una legge al riguardo). Fra tutti si stagliava, per la sua compiutezza morale e formale Holy Rosita del belga Wannes Destoop, meritatamente premiato come miglior film dalla giuria presieduta da Margaret Mazziantini. Doppia vittoria verrebbe da dire, in quanto trattasi di un film finanziato e realizzato dal Torino Film Lab, centro audiovisivo del Museo Nazionale del Cinema. Il giovane regista si era già fatto notare in un recente passato per la serie Albatros incentrata sul tema della “grassofobia”, cioè della discriminazione ed emarginazione delle persone obese o comunque sovrappeso (argomento che entra con un ruolo non marginale anche nel film in oggetto).


La trama. Rosita e’ una giovane ragazza florida , corpulenta, anzi diciamo pure seriamente obesa, ma solare, vitale, sempre allegra, che vive in un quartiere popolare di qualche città del Belgio. Abbandonata in tenera età dalla madre, e stata allevata da una coppia di venditori ambulanti che considera i suoi genitori. Si arrabatta tra due lavori part time, impiegata in una lavanderia e steward in vari eventi sportivi (dove guarda caso è addetta alla assistenza di spettatori variamente handicappati). La sua migliore amica e compagna di giochi è una bambina di otto anni, che però dimentica regolarmente di riportare a casa all’ora convenuta!. È benvoluta nel quartiere anche se considerata da tutti (compresa la sua madre putativa) affetta da un lieve ritardo mentale ed è per questo attenzionata dai servizi sociali. Dimenticavamo: per arrotondare le magre entrate, si improvvisa massaggiatrice per soli uomini. Ed è facile capire, visto il suo fisico esuberante, come finiscano le sedute. E Rosita ogni volta (ma il regista con molto tatto ce ne risparmia la visione) introduce nella vagina lo sperma rimasto nel preservativo. Infatti il suo grande unico desiderio è quello di diventare madre a sua volta, forse per cancellare il ricordo della donna che la ha abbandonata. Ed un certo giorno il risultato è positivo. Ma lei lo tiene nascosto fino quasi alla fine, sia alla famiglia che certo vorrebbe convincerla ad abortire, sia alle autorità (sembra che in Belgio esistano leggi che impongono l’obbligo di dare in affidamento il neonato per quelle persone che manifestamente non sono in grado per motivi fisici o psicologici di assicurarne la crescita).

In conclusione un film insolito, dolce, compiuto, piacevolissimo da vedersi e che al tempo stesso lancia un messaggio importante: ognuno, quali che siano le sue condizioni di partenza, ha diritto alla ricerca della sua felicità. E straordinaria è l’interpretazione di Daphne Agen, attrice teatrale alla sua prima prova sullo schermo. Difficile che il film possa trovare un distributore in Italia e sarebbe un vero peccato.

Giovanni Martini MCmagazine 98

Lascia un commento