Food For Profit

Giulia Innocenzi, Pablo D'Ambrosi

Il primo documentario che mostra il filo che lega l’industria della carne, le lobby e il potere politico. Al centro ci sono i miliardi di euro che l’Europa destina agli allevamenti intensivi, che maltrattano gli animali, inquinano l’ambiente rappresentando un pericolo per future pandemie. Un viaggio illuminante e scioccante per l’Europa dove una squadra di investigatori che ha lavorato sotto copertura negli allevamenti dei principali paesi europei, svela la realtà che si cela dietro le eccellenze della produzione di carne e formaggio.

Italia 2024 (90′

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   L‘inchiesta della giornalista Giulia Innocenzi culmina oggi con un documentario investigativo senza precedenti: Food For Profit. Un documentario che, grazie al coraggio di persone che hanno lavorato sotto copertura, racconta per primo come l’industria della carne, le lobby e il potere politico siano legati indissolubilmente. 90 minuti che a detta di molti non solo tengono incollati allo schermo, ma che hanno fatto tremare le mura di Bruxelles. A pochissimi giorni dall’uscita, infatti, iniziano ad arrivare le prime minacce di querela. Il cardine attorno al quale ruota Food For Profit sono infatti i 387 miliardi di fondi pubblici che attraverso la Politica Agricola Comune – un programma molto controverso per orientare le politiche rivolte agli agricoltori – l’Europa destina all’industria intensiva perpetrando pratiche molto poco sostenibili ed etiche. Quello di Giulia, della sua squadra investigativa e di Pablo, il filmmaker, è stato un viaggio attraverso il nostro continente per raccontare cosa si nasconde sotto la superficie: una realtà fatta di sfruttamento di lavoratori, inquinamento, danni alla biodiversità, uso di antibiotici e OGM con ricadute dirette sulla salute di molte persone. Ciò che distingue Food For Profit dagli altri documentari è il collegamento diretto con il Parlamento Europeo, nel quale, per esempio, un finto lobbista propone a una figura di spicco di produrre maiali a sei zampe per aumentare il numero di prosciutti prodotti. La sola obiezione che gli è stata sollevata? Farlo accettare all’opinione pubblica. Per quello, però, basta costruire a tavolino la narrazione. Altro punto sottolineato nel documentario è quello legato al fatto che nella legislazione europea manca una definizione di “allevamento intensivo”, e questo la dice lunga, anzi lunghissima. Nel frattempo, dall’Italia alla Germania, passando da Polonia e Spagna, gli animali che non sono cresciuti abbastanza per gli standard di mercato vengono ritenuti “scarto” e quindi uccisi. Inoltre, gli antibiotici vengono somministrati illegalmente per curare patologie scaturite dalla scarsa igiene, mentre ammoniaca e nitrati inquinano aria, acqua e suolo provocando morie di pesci e rendendo irrespirabile l’aria per le comunità che vivono a ridosso degli allevamenti.

Federica Gasbarro – thewom.it

  Polesine, Italia: un allevamento intensivo di polli, per rispettare le indicazioni del produttore, deve consegnare soltanto degli esemplari perfetti da poter immettere sul mercato, e gli “scarti” vengono eliminati con pratiche violente. Regione di Berlino, Germania: un allevamento intensivo di mucche, visto l’affollamento dei capi e la scarsa pulizia degli ambienti, viene colpito dal proliferare della mastite (un’infezione e infiammazione della ghiandola mammaria), così il personale non medico somministra antibiotici agli animali malati. Murcia, Spagna: un allevamento intensivo di maiali sfrutta le poche risorse idriche del territorio e scarica in vasconi all’aperto i liquami di risulta, causando inquinamento del suolo e contaminazione della falda acquifera. Tutto vero, disturbante e inquietante. Solo che per alcuni politici, organi di controllo e istituzioni gli allevamenti intensivi non esistono…

Forse c’è un unico tema che può unire sensibilità etiche, preoccupazioni sanitarie e criticità ambientali nella riflessione sul sistema socio-economico-valoriale del capitalismo come principale causa del riscaldamento globale – il cibo. Quello che mangiamo, o meglio, ciò che decidiamo di mangiare, ha un impatto razionale, misurabile, diretto con inquinamento, sfruttamento, salute, diseguaglianze. Dobbiamo produrre di più perché dobbiamo mangiare più carne, e per farlo dobbiamo sfruttare più suolo, contaminare più acqua, appestare più aria, somministrare più antibiotici, stipare più animali, violare più diritti. Ma davvero dobbiamo? Food For Profit non solo mette la camera – nascosta e non – al centro di tutto questo, costringendo in qualche modo a guardare (che tu sia spettatore inconsapevole, attivista convinto, politico coinvolto), ma alla fine dei suoi ’90 minuti fa una anche una precisa call for action: “Stop sussidi pubblici agli allevamenti intensivi”. Ecco, se c’è un pregio indiscutibile del documentario diretto da Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi è proprio il suo posizionamento, che si profila inizialmente come lavoro d’inchiesta sulla gestione degli allevamenti intensivi, diventa poi atto d’accusa nei confronti delle istituzioni europee complici in modo diretto e indiretto di questo sistema, e infine mette insieme queste due prospettive per trasmutarsi in un prodotto affilato da brandire per catalizzare la consapevolezza dei cittadini. Senza tirare mai il fiato e mettersi da parte.

Innocenzi d’altronde c’è sempre andata dritta nelle cose, vuoi per la sua appartenenza all’albero genealogico-scolastico dell’ariete Michele Santoro su Annozero e Servizio Pubblico, vuoi per la sua vicinanza ideale e lavorativa con il giornalismo impegnato e d’assalto di Report e Le iene, così in questo progetto che spinge ancora più avanti sue precedenti inchieste (…) si piazza davanti allo schermo facendo funzione di voce narrante, corpo investigativo e coscienza attivista, in una triangolazione che riassume un po’ tutta la sua carriera quanto la stessa intima natura di Food For Profit

Luigi Coluccio – mymovies.it

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