Bestiari, erbari, lapidari

Massimo D'Anolfi, Martina Parenti

Un’enciclopedia sentimentale in tre atti, che attraversa il mondo animale, vegetale e minerale, e che si interroga su come sono stati raccontati dall’uomo. Strettamente connessi tra loro, gli atti del film disegnano uno sviluppo drammaturgico unico, attraverso tre diversi dispositivi di messa in scena. Un film radicalmente attuale, che pone allo spettatore domande importanti sulla posizione dell’umano nel mondo, un evento cinematografico inedito, immersivo ed estremamente poetico.

Italia/Svizzera 2024 (206′)

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   Uno dei documentari più potenti dell’anno: si può partire così per raccontare Bestiari, erbari, lapidari, film inserito fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con alla regia ci sono due maestri del genere come Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, autori che avevano già stupito con pellicole come Materia oscura, Guerra e pace, Spira mirabilis. Il curioso titolo che hanno scelto è per riassumere un vero e proprio documentario “enciclopedia”, diviso in tre atti, ognuno dei quali tratta un singolo soggetto: gli animali, le piante, le pietre. Il film è un omaggio a quei mondi “sconosciuti” e per certi versi davvero alieni, fatti di animali, vegetali e minerali, che spesso diamo per scontati. Gli atti del film disegnano uno sviluppo drammaturgico unico, attraverso tre diversi dispositivi di messa in scena. Bestiari è un found-footage su come e perché il cinema ha ossessivamente rappresentato gli animali; Erbari invece, un documentario poetico d’osservazione dall’interno dell’Orto Botanico di Padova; Lapidari, infine, un film industriale ed emotivo sulla trasformazione della pietra in memoria collettiva. Il film conferma le abilità dei due registi nel trattare i materiali d’archivio, come dimostra il primo atto, e la loro grande capacità creativa. Senza bisogno di troppe parole, il film riesce a comunicare tantissimo, credendo nel potere delle immagini, del montaggio e dei suoni. In questa notevole esperienza audiovisiva c’è infatti ampio spazio per riflettere anche sul linguaggio cinematografico e le sue possibilità: in crescita con il passare delle sequenze, Bestiari, erbari, lapidari ha nel suo atto conclusivo quello più riuscito, ma è tutto il disegno d’insieme a reggere efficacemente. La durata di 206 minuti può spaventare, ma con la giusta predisposizione e un po’ di pazienza si assiste a qualcosa di quasi unico nel panorama contemporaneo.

Andrea Chimento – ilsole24ore.com

  Bestiari è una visione emozionante e dolorosa. Dalla fascinazione del cinema delle origini per lo studio del movimento degli animali, agli animali “nostri contemporanei” sui tavoli operatori dei veterinari. Dalle immagini remote in cui chi filma può essere anche chi spara (to shoot in inglese ha peraltro questo doppio significato), a quelle delle gabbie dello zoo, delle volpi prigioniere e sorvegliate come in un campo di concentramento, di una piccola tigre in un’incubatrice. Ciascun frammento di cui è composto questo primo capitolo è prezioso, toccante, e talvolta disturbante, come lo sono i versi degli animali che ne compongono il paesaggio sonoro. Le immagini in movimento di queste “creature senza biografia” – come le definisce Sophia Gräfe che, con Francesco Pitassio, guida la visione dei filmati d’archivio – sono documenti di un rapporto di potere, di paura e fascinazione, di scoperta e sottomissione. Indagare la relazione uomo-animale e mostrare come questa sia stata mediata dal cinema, significa toccare temi molto attuali fuggendo ogni retorica – ma avendo le prove, che sono poi le immagini stesse, peraltro bellissime.

Dai corpi e dal movimento degli animali, nel capitolo Erbari il film si posa lieve su un luogo antico e pieno di sapere, l’Orto botanico di Padova. Il lavoro che non si vede, di cui non sappiamo nulla – la manutenzione e la cura delle piante e del giardino, le analisi e le colture – occupa il tempo lento delle stagioni che passano, delle piante che vivono, e crescono, immobili eppure sempre in movimento. Vediamo laboratori, serre, antichi erbari, ipnotiche sequenze di film scientifici e udiamo la voce over di una lezione in cui un professore guida noi, e i suoi studenti, a considerare l’importanza di ciò che diamo per scontato, ovvero le piante

Dalla quiete quasi religiosa dell’Orto botanico al fragore delle mine e del cementificio che apre Lapidari. Anche qui, come in un documentario industriale, vediamo il lavoro, e ciò che di solito non ci è dato di vedere – come si fabbrica il cemento, come si testa la sua portanza. Ma su queste immagini ruvide e fredde gradualmente si insinuano il passato e le ferite del Novecento attraverso una serie di assonanze, di echi visivi e rifrazioni, tra immagini di ieri e di oggi: l’Archivio Centrale dello Stato, i faldoni dei casellari giudiziari e le foto di volti bellissimi di sovversivi, anarchici e comunisti, e poi il cemento frantumato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, i cadaveri estratti da quelle macerie. La dialettica tra passato e presente, la forza delle immagini d’archivio e la ferma pacatezza e il rigore delle immagini di oggi, trovano nel finale una sintesi inaspettata e giusta, in cui tutto si tiene e la memoria, pur nella miriade di contraddizioni del mondo e della storia, trova finalmente un posto.
D’Anolfi e Parenti, come già nel Castello, in Materia oscura e in Guerra e pace, hanno una misura precisa di stile, mostrandoci come lo sguardo documentario possa essere vorace e al tempo stesso rispettosissimo, quasi pudico. Sanno lavorare sulle immagini senza mai prescindere da una continua interrogazione su come il cinema guarda e ha guardato il mondo, documentandolo e plasmandolo; E provano, con questo film, a sporgersi al di là di una prospettiva antropocentrica, senza mai rinnegare il valore della conoscenza e della Storia.

Mariapaola Pierini – cineforum.it

 

Bestiari, erbari, lapidari, nella sua totalità, procede come un film-saggio: la videocamera puntata su ciò che accade davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Il racconto ha una struttura narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo. Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali tra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera. A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche.

Martina Parenti, Massimo D’Anolfi

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