Brasile, inizio anni Settanta. Mentre il paese si trova nella morsa sempre più stretta della dittatura militare, la vita di una famiglia viene distrutta quando il padre, un ex deputato, viene portato via per essere interrogato in circostanze misteriose. La moglie sarà costretta a reinventarsi e lottare per i suoi figli e per il suo paese.
Brasile/Francia (135′)
VENEZIA – L’avevamo perso di vista dal 2012, il brasiliano Walter Moreira Salles, dopo la non certo memorabile riduzione cinematografica del capolavoro di Jack Kerouac On the Road (impresa d’altra parte difficilissima e mai infatti tentata da nessuno precedentemente). Ma era pur sempre il regista de I diari della motocicletta, sulla traversata sudamericana di Che Guevara, e soprattutto l’autore di Central do Brasil, Orso d’oro a Berlino nel ‘99, miglior film straniero agli oscar dell’anno seguente e film seminale della recente retomada del cinema brasiliano. È tornato adesso in concorso a Venezia 81 con Ainda estou Aqui, fedelmente tratto dal libro omonimo di Marcelo Rubens Paiva, suo amico e coetaneo, e reale protagonista della vicenda narrata.
E si capisce subito che si tratta di qualcosa che riguarda personalmente l’autore e la sua generazione: la tragedia della dittatura dei Gorillas brasiliani, i militari rimasti al potere in Brasile dal 1964 al 1985. Dittatura di cui in Europa si è sempre parlato poco, in confronto a quelle quasi contemporanee di Pinochet in Cile e dei generali in Argentina (e forse non è una mera coincidenza che proprio l’anno scorso a Venezia sia passato l’ottimo Argentina 1985).
Siamo a Ipanema, Rio de Janeiro. Qui vive l’ingegnere Rubens Paiva (Selton Mello), ex deputato laburista cassato nel ‘64, con la moglie Eunice e i cinque figli, quattro sorelle e un ragazzino. È una famiglia apparentemente felice, che fa progetti per l‘avvenire: una nuova casa, gli studi dei figli. Cosi come felice è l’epoca per il Brasile, come da tanti indizi ci fa capire Salles, di apertura all’Occidente post sessantottino. Si importano i film di Godard e di Antonioni, c’è l’esplosione del Cinema Novo di Glauber Rocha, una nuova cultura musicale che ha i suoi rappresentanti in Gilberto Gil e Caetano Veloso. Ma in pochi mesi una cappa scura cala sulla società brasiliana. Con il colpo di stato del 31 marzo e il susseguente Atto Istituzionale Numero Cinque vengono sciolti i partiti, abolita la libertà di parola e di stampa e si apre la caccia a chi sia vagamente sospettato di opporsi. I più avveduti, giornalisti, scrittori, musicisti (tra cui Chico Buarque e i sopracitati) si autoesiliarono in Europa, soprattutto in Inghilterra e in Italia. Certo esistevano delle minime frange terroriste, ma la repressione si scatena contro chiunque sia vagamente conosciuto per essere di sinistra o fornisca qualche aiuto ai perseguitati.
Tra questi c’è ovviamente l’ingegner Paiva, rapito con la scusa di dover rilasciare delle dichiarazioni da poliziotti in borghese il 20 gennaio 1971, torturato e ucciso (ci sono testimoni) e il cui corpo sarà sepolto in luogo sconosciuto. Nulla verrà mai comunicato alla famiglia e anche anni dopo, in un rimpallo di responsabilità, si inventerà la storia di un tentativo di fuga durante un trasporto. Anche la moglie e la figlia maggiore vennero incarcerate pur liberate dopo alcuni giorni di vani interrogatori e maltrattamenti. Comincia qui l’epopea di Eunice la quale, oltre a dover tenere unita la famiglia, si iscrive alla facoltà di Legge pronta a battersi per decenni al fine di appurare la verità sulla sorte del marito.
Non solo (e questo è verità storica); diventerà un avvocato di prestigio impegnata a livello internazionale nella difesa dei popoli indigeni, tra le maggiori vittime dei militari (si parla di 8000 vittime nel periodo). Non ci sono nel film scene esplicite di violenza; l’atmosfera plumbea del periodo è suggerita da Salles con le immagini delle colonne dell’esercito, dei cortili delle caserme, degli interrogatori e della repressione delle manifestazioni studentesche. In doveroso omaggio a Marcelo Paiva, autore del libro, il film segue poi le vicende della famiglia fino i giorni nostri, al 2014, assumendo un ritmo un po’ televisivo e soprattutto difficile da seguire per un pubblico non brasiliano. Nel frattempo dal 1985 é tornata la democrazia e addirittura viene istituita una Commissione della Verità per appurare i crimini della dittatura; la quale però si rifiuterà sempre di andare a fondo: troppe le persone coinvolte, molte ancora attive in politica.
La scena clou del film (e che sarebbe stato meglio fosse la scena conclusiva!) é quella in cui Eunice, nel 1996, riceve finalmente il certificato di morte dal marito e piange di gioia! Cinema tradizionale certo ma sentito e necessario quello di Salles e straordinaria l’interpretazione di Fernanda Torres: forse La coppa Volpi per la miglior attrice del Festiva avrebbe dovuto essere sua.
Giovanni Martini – MCmagazine 96