In un teatrino di periferia, tre attori mettono in scena una maldestra tragicommedia degli equivoci. Finché Yannick si alza dalla sua poltrona e interrompe lo spettacolo. Non è disposto a subire ancora questa tortura, adesso le cose si faranno a modo suo. A costo di prendere in ostaggio l’intera platea… Una stralunata, divertente ribellione che mette alle corde le regole dello spettacolo e l’empatia degli spettatori.
Francia (67′)
LOCARNO – Il 99% dei film sono noiosi. Questo no. Queste le note di regia con cui Dupieux presenta il suo film in concorso. Un piccolo film, che dura poco più di un’ora, in formato 4/3, in cui, con la sua classica irriverenza, Dupieux ci catapulta all’interno di un teatro parigino dove è in corso la rappresentazione de Il Cornuto (Le cocu), una pessima e mal recitata commedia da boulevard.
Yannick, un giovane guardiano notturno, si alza e interrompe lo spettacolo. La pièce lo annoia. Dovrebbe divertirlo, fargli staccare dal mondo per qualche ora, e invece, lo fa solo sentire peggio di prima. Così il giovane decide di prendere il controllo della serata e propone un suo testo. L’azione quasi pirandelliana di disturbo del protagonista nei confronti degli attori in sala scardina quel rapporto di tacita complicità che si ripete ogni sera in tutti i teatri del mondo. Il velo di maya posizionato al confine tra la realtà e la finzione scenica viene squarciato con la consueta irriverenza e beffarda ironia tipica dell’artista e regista francese. Il formato 4/3 crea una scatola schiacciata su quella della piccola sala teatrale, dove con una dialettica provocatoria e infantile al tempo stesso, Yannick fa emergere tra gli attori e gli spettatori desideri sessuali torbidi, dipendenze farmacologiche, aspirazioni frustrate. Si ride per tutti i 65 minuti, ma il sorriso malinconico del protagonista (il bravo Raphaël Quenard) nei minuti finali é lo sguardo dubbioso dell’anti-eroe contemporaneo, sconfitto nella vita di tutti i giorni (più volte Yannick spiega quanto si senta intrappolato nella sua orrenda quotidianità), che ha cercato rifugio in quella vecchia, ma ancora funzionante scatola magica del teatro, per un tentativo, forse non riuscito, di ribellione. Si ride, è vero, per tutta la breve durata del film, ma si esce anche un po’ delusi, come forse sarebbero usciti dal teatro gli spettatori, se non ci fosse stata l’irruzione di Yannick.
Certo, si ride davvero, ma pur avendo dimostrato un perfetto controllo della costruzione narrativa, si ha l’impressione che Dupieux si sia lasciato forse deliberatamente sfuggire un’occasione per dare delle risposte ai numerosi interrogativi che la situazione messa in scena poneva, per affrontare un discorso più ampio su quali siano i confini entro cui definire un’opera d’arte. Così il film delude le aspettative di chi aveva apprezzato la deformazione grottesca della realtà di Mandibules o il surrealismo stralunato di Fumer fait Tousser, anche se, bisogna ammetterlo, il film non lascia spazio alla noia.
Cristina Menegolli – MCmagazine 84