Un gruppo di donne di una comunità mennonita discutono di un segreto scioccante che riguarda gli uomini della colonia in cui vivono. Quando l’agghiacciante verità viene a galla, dovranno decidere se restare e combattere oppure andare via. Alla base c’è un omonimo romanzo del 2018, a sua volta ispirato a un agghiacciante fatto di cronaca: in una comunità in Bolivia le donne si svegliavano scoprendo di essere state violentate nel sonno…
USA 2022 (104′)
OSCAR: miglior sceneggiatura non originale
…Women Talking – Il diritto di scegliere segue la via della parola. L’impostazione è teatrale, la vicenda per la maggior parte della sua durata si svolge all’interno di un fienile. Sarah Polley dirige con mano ferma, quella che va in scena è una battaglia. La bestialità e gli eventi restano all’esterno. Dai racconti delle protagoniste scopriamo di essere in una comunità religiosa che rifiuta il progresso. Siamo nel 2010, ma sembra un’altra epoca. Nei decenni sono state narcotizzate e stuprate a ripetizione. Il dibattito è se andarsene o rimanere e combattere. Gli elementi più importanti sono fuori dalla vista, come nel bellissimo finale di Un condannato a morte è fuggito di Bresson. Il racconto si fa quasi tradizione orale, la brutalità è una consuetudine solo abbozzata dalle immagini. È come assistere a un processo in cui non possiamo scrutare i volti dei colpevoli. Si vedono gli effetti, ma mai le cause. Il pestaggio di Jessie Buckley da parte del marito ubriaco non è mostrato, a un certo punto compare con il volto tumefatto. Il sangue è una macchia nera. La fotografia è spenta, i colori tendono a sparire. L’obiettivo è specchiarsi nell’anima delle vittime, cogliere il dolore, le emozioni massacrate. La tenerezza tra Rooney Mara e Ben Whishaw non si può concretizzare, perché appartengono a una dimensione dove tutto è violenza. La religione è uno strumento che serve a opprimere; il desiderio di elevarsi, di raggiungere la trascendenza, è affogato dalla follia, dal sopruso. Polley è militante, ma rifiuta il comizio. L’assemblea diventa l’unico luogo sicuro, l’unico cerchio in cui è possibile ribaltare ogni convinzione maschilista e retrograda.
Gian Luca Pisacane – cinematografo.it
In seguito all’ennesimo stupro collettivo perpetrato dagli uomini della colonia, e culminato con l’abuso sessuale di una bambina di 4 anni, vediamo un gruppo di donne riunirsi in un fienile per discutere dei modi in cui sottrarsi a questo delirio di violenza e prevaricazioni: c’è chi come Salome (Claire Foy) spinge per lasciare la colonia; chi come Mariche è incerta se rimanere o fuggire, e chi come Ona (Rooney Mara) media tra le varie parti. Ognuna ha la propria idea di libertà, e la esprime attraverso il confronto dialettico. Ed è in questo spazio ontologicamente femminile, in cui a prevalere sono le parole, i sentimenti e i corpi delle (numerose) protagoniste, che Women Talking muove tutte le sue istanze di auto-determinazione, per definire una realtà nel contempo “autarchica” e radicale. Dove il desiderio femmineo, ora espresso, verbalizzato, e discusso, non ha più alcuna ragione di essere negato. E in questo senso, Sarah Polley ha la grande lucidità di configurare il fienile come uno spazio propriamente utopico, in netta opposizione alla distopia stabilita dagli uomini/predatori. Al suo interno tutto ruota attorno al potere liberatorio della parola, che offre alle donne – anagraficamente e caratterialmente distanti – la possibilità di raggiungere una comunità di destini, al di là delle divergenze che le separano. E Women Talking sa bene che per poter catturare queste esperienze in un’unica immagine di libertà, deve arrivare ad intrecciare il micro (cioè la realtà “utopica” del fienile) con il macro, ovvero con tutte le logiche patriarcali della colonia, e per estensione dell’America – e quindi della Hollywood contemporanea. Da questa prospettiva, la controparte del conflitto, cioè gli uomini, non la vediamo mai. Eppure la loro presenza serpeggia continuamente in questo spazio, materializzandosi nelle ferite (sia fisiche, che emotive) delle donne.
E non è un caso che l’unico uomo a cui il film concede di parlare sia August, un insegnante istruito e onesto, interpretato da un attore, come Ben Whishaw, così innegabilmente lontano da quell’immagine di tossicità mascolina contro cui le artiste di Hollywood si stanno battendo negli ultimi anni. Insomma, al di là di alcuni trionfalismi nell’epilogo, Women Talking dimostra che nel cinema hollywoodiano è ancora possibile articolare un discorso lucido sulle conseguenze del #MeToo, senza ricorrere ad allegorie di superficie o stucchevoli sensazionalismi. È proprio questo, forse, il grande merito del film. Di un racconto che non ha alcun timore a mostrare le ferite e le fallibilità delle sue protagoniste, pur di presentarle in tutta la loro (deflagrante) umanità.
Daniele D’Orsi – sentieriselvaggi.it