Vera Gemma interpreta se stessa in una storia ispirata alla sua vita: cresciuta all’ombra di suo padre Giuliano e ormai finita alla deriva nell’alta società romana, vorrebbe cambiare la sua vita. La possibilità di una svolta le si presenta quando ferisce in un incidente stradale un bambino di otto anni, con il quale poi stringe una relazione forte. Ma in fondo il suo aspetto eccentrico e il peso della sua storia familiare non le permettono di legarsi veramente a qualcuno che non abbia secondi fini…
Austria/Italia 2022 (115′)
VE 79° / Orizzonti: miglior regia e migliore attrice
La coppia italo-austriaca formata da Tizza Covi e Rainer Frimmel (La pivellina, Mister Universo) propone un cinema molto particolare, ancora girato in pellicola, in cui i due costituiscono l’intera troupe di film a basso budget che giocano sempre sul sottile confine tra realtà e finzione: questo terzo lungometraggio è un’opera decisamente più complessa e matura rispetto alle precedenti, anche grazie alla presenza di una protagonista eccentrica e sorprendente che non lascia indifferenti. Vera Gemma, cresciuta nel mito della bellezza e della perfezione fisica, aspirante attrice da una vita ma che, alla sua prima opportunità da protagonista, si ritrova a cinquant’anni alla ricerca di un riscatto umano e professionale e mette a nudo tutta se stessa con grande sincerità e autoironia, giocando sulle proprie fragilità e sul suo aspetto esteriore, glamorous e superficiale a prima vista con i vistosi outfit e l’immancabile cappello western, ma divertente, colta e sensibile per chi abbia voglia di approfondirne la conoscenza. In un film inevitabilmente costellato ed impreziosito da tantissimi elementi metacinematografici, risultano particolarmente felici i momenti più intimi, in particolare quando Vera assieme alla sorella Giuliana guardano dei Super8 di famiglia dei primi anni ’70 dove il padre fa come di consueto il mattatore e poi, quando assieme ad Asia Argento si ritrova davanti alla tomba del figlio di Goethe, che sulla lapide ha proprio scritto “Goethe Filius” senza nome proprio, e non possono evitare amare riflessioni sul destino dei figli d’arte.
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Quanto può pesare su una persona l’essere la figlia di una star internazionale e di un uomo dal quale non si è ereditata la bellezza perfetta? Moltissimo, a giudicare dall’esistenza di Vera Gemma, figlia minore di Giuliano, che ha alterato il suo aspetto fisico con il preciso intento di assomigliare più a una trans che ad una donna e si domanda ogni giorno quale sia il suo “vero” talento. I registi Tizza Covi e Rainer Frimmel le cuciono addosso una storia che sta a metà fra il documentario e la finzione, e che aspira ad essere ciò che il nome della sua protagonista preannuncia: un portatore di verità, in un mondo di inganni e sotterfugi. Vera Gemma, che per la sua interpretazione di se stessa ha vinto il premio come miglior attrice della sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia, è una presenza metacinematografica convincente e commovente. La trama la vede aggirarsi per la periferia romana insieme al suo autista Walter, che investe per sbaglio un padre e un figlio di sei anni a bordo di una moto. Il bambino si ritrova un braccio rotto e Vera, in preda ai sensi di colpa, comincia a frequentarlo e a trascorrere con lui i pomeriggi, non prima di averne indennizzato il padre attraverso la sua assicurazione. E poiché Vera è una donna che – dice la storia – è abituata ad essere sfruttata dagli uomini che cercano di spillarle denari ed entrature nel mondo del cinema, il sospetto che anche questa volta si sia cacciata in uno schema fraudolento è inevitabile. Ma ciò che conta è la semplicità con cui questa donna dei quartieri alti, che si presenta nelle borgate in pellicciotto, tacco 12 e cappello da cowboy, sappia creare istantaneamente un legame con il bambino e la sua nonna, e sappia vedere il lato positivo in qualunque persona e qualunque situazione.
La sua è una natura “veramente” empatica che ricorda quella di Pier Paolo Pasolini, così vicina agli ultimi da rendere chi la possiede un potenziale agnello sacrificale. In qualche modo anche il film di Covi e Frimmel è pasoliniano, nell’amore con cui accarezza le periferie e i suoi personaggi, compreso il padre del bambino che sembra un ragazzo di vita 2.0, un accattone per il Ventunesimo secolo. I due registi continuano a raccontare i loro protagonisti senza esercitare su di loro alcun giudizio morale e con totale aderenza filmica, cogliendone da vicino la tristezza e la poesia, in primis quelle di Vera, con il suo sguardo affossato che si fa carico del dolore del mondo, senza per questo disdegnare le boutique del centro e i selfie con i fan (più spesso del padre che di lei). Vera non può fare a meno di dire la verità e non sa nasconderla nemmeno a stessa, per dura che sia. La sua incrollabile fiducia nell’intima bontà dell’uomo ha qualcosa di tragico e allo stesso tempo nobile, e la eleva al di sopra degli abusi di chirurgia estetica e delle frequentazioni del peggior generone romano. Ed è con onestà quasi neorealista che i due registi la raccontano, cogliendo il degrado della quotidianità che la circonda che non ha a che fare con una guerra mondiale, ma con un progressivo abbrutimento socioculturale che cresce come un pianta carnivora, e si allarga come un tatuaggio sui corpi di coloro che sono meno capaci di coglierne il pericoloso inganno
Paola Casella – mymovies.it