Trenque Lauquen

Laura Citarella

Laura è scomparsa senza lasciare traccia a Trenque Lauquen, una piccola città della pampa argentina dove ha svolto per diversi mesi una ricerca botanica. Perché se n’è andata? Una fuga improvvisa che diventa il nucleo di una serie di misteri: il segreto nascosto nei libri di una biblioteca, il carteggio amoroso di un’altra donna scomparsa molti anni prima, i misteriosi fiori gialli, il mistero della laguna di Trenque Lauquen e della sua comunità sconvolta da un evento soprannaturale…

 

Argentina 2022 (128′ parte I – 132′ parte II)

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  Intanto qualche istruzione per l’uso. Il titolo: Trenque Lauquen è una cittadina argentina 440 chilometri a sud-ovest di Buenos Aires, paese d’origine dei genitori della regista il cui nome nella lingua dei mapuche significa «laguna rotonda» e sta a indicare il laghetto intorno a cui è cresciuta la città. (…) Il film è una delle più belle sorprese di questa stagione, che già aveva conquistato gli applausi del pubblico al Festival di Venezia 2022, nella sezione Orizzonti. E sorpresa lo è davvero perché Trenque Lauquen di Laura Citarella è un film che sfugge a qualsiasi definizione e catalogazione, sorprendente come tutti i prodotti di El Pampero Cine, il gruppo di cui fa parte la regista, sfortunatamente poco o niente conosciuto in Italia. All’inizio, capiamo che i due personaggi in campo – Rafa (Rafael Spregelburd) e Ezequiel detto Chicho (Ezequiel Pierri) – stanno cercando di scoprire che cosa sia successo a una certa Laura (Laura Paredes), che si era trasferita dalla capitale a Trenque Lauquen per terminare un lavoro di catalogazione della flora locale con cui avrebbe potuto ottenere un posto all’università. Rafa, professore universitario e tutor per Laura è anche il suo fidanzato, e si agita per venire a capo di questa sparizione; Chicho, invece, a cui pure Laura aveva chiesto in prestito l’auto che poi ha abbandonato, sembra meno preoccupato della scomparsa.

O per lo meno sembra più frastornato, più stordito (un critico francese, Mathieu Macheret, lo ha paragonato al Droopy dei cartoni animati, eternamente sfasato ma sempre al posto giusto nel momento giusto, e il paragone è piuttosto centrato). Lui portava Laura in giro per i campi dove lei schedava fiori e piante. Ma dopo queste prime scene che vogliono essere, per esplicita ammissione della regista, un omaggio all’Antonioni de L’avventura (ma aggiungiamo noi anche a Vertigine di Otto Preminger, la cui protagonista scomparsa si chiamava appunto Laura), ecco che il film inizia a percorrere strade inaspettate. La sceneggiatura (della regista e di Laura Paredes) non segue la linearità cronologica ma si apre e si sfrangia in tanti diversi rivoli. Quasi ci trovassimo in un film «cubista», la regia affronta prima una prospettiva e poi la abbandona a favore di un’altra e poi di un’altra ancora. O forse sarebbe meglio citare le mille articolazioni di una nuova biblioteca di Babele (non a caso Borges è uno degli autori feticcio del Pampero Cine) o ancora la ricchezza di invenzioni di un feuilleton ottocentesco, scritto però da un grande romanziere, come Hugo o Dumas. E lo spettatore si fa presto catturare da questi mille possibili sviluppi della storia: qual è il rapporto tra Rafa e Laura? Perché Chicho sa più di quello che sembra voler dire? E cosa faceva davvero Laura a Trenque Lauquen? Chi erano le sue amiche? Perché aveva deciso di tenere una rubrica settimanale alla radio locale LU 11? Cosa cercava nella biblioteca? Mescolando scene contemporanee ad altre del passato, dialoghi in diretta, voci off e colloqui alla radio, andando avanti indietro nel tempo e nello spazio (ci sono anche scene girate in Italia), introducendo personaggi inaspettati, mescolando storie d’amore appassionate a improvvisi squarci fantascientifici (cos’è quello che un giorno esce dalla laguna?)

Laura Citarella smonta quello che siamo abituati ad aspettarci da un film per accompagnarci fuori da ogni norma. Alla fine tutto troverà una propria ragione (anche se il finale moltiplica i punti di domanda invece che dar loro delle risposte) ma è tale e tanta la fascinazione di questo modo di fare cinema che alla fine è inevitabile farsi prendere dal piacere, abbandonandosi al flusso di un racconto che divaga e poi torna sui suoi passi. Sempre pronto a sorprendere.

Paolo Mereghetti – corriere.it

Se esiste un ostacolo per la piena consacrazione di Trenque Lauquen è quello di un evidente, quanto inatteso squilibrio tra la prima e la seconda parte del film. La teorizzazione narrativa, seguita da una pratica fattiva del racconto, come forma dell’affabulazione infinita e autogenerante della prima parte, sembra doversi piegare ad una necessità del racconto più tradizionale in quella seconda più convenzionalmente adatta ad una specie di noir dell’anima in cui la complessità della parte precedente, cerca e trova soluzioni narrative più adatte ad un racconto classico. Ma è pur vero che in questa seconda parte, sembrano accentuarsi i temi di un fantastico quasi casalingo, i temi di una visionaria consistenza dei personaggi e delle situazioni. Un racconto che si annoda all’incipit, apparentemente quasi trascurabile dal punto di vista dello sviluppo della vicenda, ma che si enfatizza nel suo svolgersi, in una infinita gamma di detour narrativi che, calvinianamente, fondano una teorica vivente del racconto e una possibile rinnovata ripetizione di quel testo narrativo fatto di inesauribili scatole cinesi senza centro e senza univoca direzione che è l’ottocentesco e precursore Manoscritto trovato a Saragozza.

Tonino De Pace – sentieriselvaggi.it

Ha il senso dell’infinito andare che è proprio dei road movie, ma poi sin dal titolo Trenque Lauquen è un film stanziale, che si incarna nelle viscere di un luogo, nelle sue leggende, attecchisce alle radici della sua vegetazione florida, invasiva ed estranea. Imperdibile capolavoro della narrazione infinitiva, questo film fiume di Laura Citarella (due parti per un totale di 260′) è uno di quegli oggetti cinematografici in cui bisogna perdersi per trovare una via d’uscita comoda e ragionevole, adeguata alle fantasie che evoca, alle emozioni che procura con svagata pertinacia, con svanita insistenza: un avvitamento di storie che ruotano attorno a un luogo, localizzazione a perdita d’occhio nel cuore della pampa argentina, toponimo che in lingua mapuce significa “laguna rotonda”, meno di 500 chilometri a sud-ovest di Buenos Aires, avamposto del nulla ingombro di archetipi di un selvatico sentire, in cui Laura Citarella ha filmato un film a perdita d’occhio e di cuore, mentre metteva al mondo la sua prima figlia, produceva altri film e ne girava contemporaneamente un altro, Las poetas.Insiste su un’assenza, Trenque Lauquen, sulla perdita di una presenza che è il fulcro di un intreccio che sta tra il sentimentale e l’avventuroso, il fantastico e il surreale: Laura, una ricercatrice botanica (interpretata dalla magnifica Laura Paredes, che ha scritto il film assieme alla Citarella), è svanita nel nulla. Le sue tracce si perdono attorno alla palude, dove stava studiando alcune piante caratteristiche, e negli scaffali della locale biblioteca, dove aveva rinvenuto le tracce di un carteggio amoroso di un’altra donna, anch’essa scomparsa tempo prima.

Le onde radio della locale emittente hanno trasmesso per un po’ la narrazione di quella storia d’amore misteriosa fatta da Laura prima di scomparire, seguendo le tracce di un altro evento soprannaturale che ha segnato, pare, la comunità. Strane presenze, creature misteriose che si muovono nella laguna, una villa ai margini della natura selvatica in cui vive una coppia di donne scostanti, inquiete, inquietanti, con le quali Laura, scopriremo nella seconda parte, ha instaurato una incerta relazione. Il tutto sospeso tra l’incedere delle ricerche nel presente e le rievocazioni narrative degli eventi trascorsi, in quel classico processo (s)compositivo che segna la magnitudo straordinaria delle narrazioni di El Pampero, la società di produzione (più che altro un collettivo) che sta scardinando le formulazioni del fare cinema argentino sull’onda degli spiazzamenti orditi da un po’ di tempo in qua dal grande Mariano Llinás (Historias Extraordinaria e poi il formidabile La Flor…). Le due parti di Trenque Lauquen (128′ e 132′) compongono un dittico scandito sul flusso di uno svelamento impossibile, di una realtà che non necessariamente corrisponde alla verità, fattore del tutto insignificante in un processo creativo e narrativo che sostituisce alla coerenza della linearità la libertà di una circolarità che si avvita sul divenire astratto dei personaggi e degli eventi. Sicché la linea narrativa progressiva offerta dalle ricerche condotte con inane pertinacia dai due uomini innamorati di Laura (su cui si struttura la prima parte) si assomma la traiettoria in dispersione spaziale su cui si avvita la seconda parte. Dove Laura Citarella si affida alla fuga della sua protagonista nei paraggi della palude, quando la ricerca della sua eroina epistolare sparita nel nulla le fa reincarnare il mistero di quella scomparsa, in una mise en abyme del mistero che diventa struttura di una narrazione tanto trasparente quanto rigorosa. Che poi è il grande, affascinante miracolo del cinema che Llinas, la Citarella e tutto El Pampero stanno realizzando, questa capacità di costruire opere magniloquenti e astratte allo stesso tempo, tanto rigorose e complesse nella composizione narrativa quanto svaporate e impalpabili nella resa affabulatoria, inafferrabili eppure evidentemente concrete…

Il soffio vitale sul fango della palude viene dalla capacità della Citarella di incardinare la narrazione archetipale (epistolare, romantica, avventurosa, fantastica) sulla porosità evocativa dei luoghi, sulla pregnanza assoluta dei paesaggi ambientali e umani in cui si muovono, la cui arcaica concretezza reincarnano nelle elaborazioni di un immaginario svagato eppure potentissimo. La scrittura (intesa come sceneggiatura) si traduce in un gesti filmici peculiari, che costruiscono una tessitura visiva lenta, in cui lo sguardo si perde. La presenza di Laura Paredes, dolce e selvaggia, segna una figurazione sempre affascinante e misteriosa, in cui si incarna il senso stesso di questo film necessario, tanto perso da essere imperdibile.

Massimo Causo – duels.it

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