Stonebreakers

Valerio Ciriaci

Stati Uniti, 2020: nel mezzo della rivolta Black Lives Matter e dell’elezione presidenziale, scoppia la battaglia sui monumenti storici. Un conflitto culturale che travolge statue di Cristoforo Colombo, confederati e padri fondatori, e mette in discussione il racconto mitico americano. Esplorando un panorama memoriale in trasformazione, Stonebreakers interroga il rapporto tra Storia e lotta politica in un’America che, mai come oggi, è chiamata fare i conti con il proprio passato.

Italia/USA 2022 (70′)

  Ci sono le statue di Colombo in varie città statunitensi, quelle dei generali sudisti a Richmond, naturalmente i quattro presidenti di pietra a Mount Rushmore. Una lunga indagine sui monumenti negli Stati Uniti e la memoria controversa che si portano dietro, il nuovo film di Valerio Ciriaci, Stonebreakers, arriva in anteprima mondiale al Festival dei Popoli 2022. Dopo If Only I Were That Warrior (2015), che parlava della memoria coloniale in Italia e delle sue ramificazioni (anche negli USA), e Mister Wonderland (2019) – di cui, lo si dice per onestà verso i lettori, è autore anche chi scrive – su Sylvester Z. Poli, un italoamericano proprietario di teatri e pioniere del cinema, Ciriaci e Isaak Liptzin (produttore e direttore della fotografia) continuano con questo terzo film il loro viaggio nella memoria del variegato mondo italoamericano, allargando lo sguardo al rapporto di molte altre comunità USA con la memoria di pietra. Il film ci porta infatti in vari luoghi e momenti simbolici dello scontro intorno ai monumenti, come Philadelphia e New Haven (Connecticut), dove la rimozione della statua di Colombo ha scatenato conflitti tra attivisti indigeni e neri con la vecchia comunità italoamericana. Il film ha una struttura ciclica, partiamo da Washington DC il 4 di luglio e lì torniamo, sempre il 4 di luglio, per assistere alle celebrazioni per l’indipendenza. Ma dal 2020 al 2021 è cambiato apparentemente tutto, e i discorsi di Trump e Biden non potrebbero essere più diversi. È un paese diviso, a partire dal passato che raccontano, e il rapporto agonistico con le statue è parte di questa storia. Uno dei (tanti) meriti di questo film è quello di catturare un momento, un’estate che potrebbe aver cambiato il modo di intendere il nostro rapporto col passato. Nel 2020 Ciriaci e Liptzin si muovono rapidamente in vari posti degli USA, riuscendo a filmare mentre le proteste avvenivano, e a chiedere a chi le animava motivazioni, obiettivi, sogni. E di riuscire a farlo non solo uno specifico evento (che sia una protesta intorno a una statua o la celebrazione del quattro luglio) ma anche riportando tutti i dettagli che ci sono intorno, restituendoci un quadro completo di quello che accade. Grazie a questo occhio partecipe Ciriaci riesce a condensare storie in pochissimi secondi. In questo film, lo si può osservare per esempio in una scena in Virginia, dove la camera rimane fissa sulla targa che ricorda l’arrivo dei primi africani schiavi nello stato nell’agosto del 1619 (la memoria della schiavitù) mentre appena dietro la targa scorre una coppia di bianchi statunitensi con passeggino (il presente che scorre, apparentemente indifferente) e al largo, in mare, si vede una nave cargo, forse una petroliera (il capitalismo della logistica). Sempre con camera fissa, mentre i due bianchi spariscono, vediamo Earl Lewis Jr, un attivista locale nero, con maglietta di Black Lives Matter che va a fotografare la targa, intrecciando lotte di oggi con la memoria del passato. È questo, in fondo, il tema principale dell’intero film, che Ciriaci riesce a rendere brillantemente in questi pochi secondi. Ma oltre a cogliere un momento, il film lo storicizza già, mettendolo in prospettiva storica (grazie a pochissimo e oculato materiale d’archivio e intervista a storici), e facendo anche vedere come, in un solo anno, le sensibilità in un paese volatile come gli USA siano cambiate. Su questo è la storia stessa della comunità italoamericana, che passa da essere ostracizzata a essere pienamente inserita nei gangli del potere, ad essere da esempio.

Luca Peretti – ilmanifesto.it

…L’’impermanenza della pietra, che da indice di imperitura memoria diviene scandalo per l’occhio ferito dei popoli. La Storia conosce bene l’ira delle folle che abbatte le statue dei dittatori, così come conosce la vendetta dei dittatori che si abbatte sui simulacri dei liberatori. Un ciclo infinito degli eventi in seno alle epoche e alle genti, uno slittamento di senso tra la carne martirizzata dei corpi e la pietra scalfita dei monumenti, un passaggio di consegne tra la pietà per le mortali spoglie e l’odio per le immortali effigi: un dialogo rovente, in cui si pretende di azzerare il tempo, annullare ciò che è stato e definire un nuovo inizio. Rivoluzione o restaurazione che sia, si tratta di una dinamica antica, alla quale Valerio Ciriaci guarda con spirito attuale nel suo documentario Stonebreakers, in questi giorni presentato a Firenze, nel Concorso nazionale del 66mo Festival dei Popoli. 70 minuti a confronto con l’America del Black Lives Matter che leva il pugno contro i simboli storici di un razzismo sistemico che s’innerva nel paesaggio quotidiano e si traduce in iconografia del dolore da sradicare. Valerio Ciriaci, che in America ci vive dal 2011, parte dal racconto della rimozione dei monumenti, chiesta e ottenuta dalle comunità nere, diffondendola sullo scenario di un paese che sembra distante, assente.

Massimo Causo – duels.it

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