Tahiti, Polinesia francese. De Roller, alto-commissario della Repubblica e rappresentante del governo francese sull’isola, è un uomo calcolatore e dalle maniere impeccabili che teme che la collera della popolazione locale possa scoppiare all’improvviso ora che qualcuno avrebbe intravisto un sottomarino, possibile annuncio delle riprese dei test nucleari nell’arcipelago…
Tourment sur les îles
Spagna 2022 (163′)
Pacifiction, passato ormai 12 mesi fa a Cannes, esce finalmente in Italia e porta con sé un’idea seducente di cinema, di racconto, di immagini che richiede uno sguardo continuamente infatuato dall’ostinata rappresentazione di sfuggenti paesaggi, naturali e umani, slabbrando storie la cui fisicità lasci il campo a un’immateriale ricostruzione dei fatti, dichiaratamente percettiva e mai descrittiva. A Tahiti, nella Polinesia francese, l’Alto commissario De Roller sembra tenere in mano la situazione, tra bar, discoteche, corpi suadenti ed esibiti, personaggi loschi e misteriosi. Un posto meraviglioso da vacanza, ma che nasconde sempre più insidie e pericoli. Un’enclave di spossata inquietudine, turbata continuamente da possibili riprese di test nucleari, che gli indigeni sentono come minaccia continua, sintomo di un mondo che altrove si agita scompostamente e non si risparmia nella sua azione destabilizzante. De Roller sfodera tutta la sua abile ambiguità, tra un sorriso e uno schiaffo, tra la sicurezza di poter gestire le crescenti proteste locali e la sua desolata, sconsolata solitudine di un ruolo probabilmente sgradito, in un quadro politico sotterraneamente incendiario. Magnifico è Benoît Magimel nel dipingere questa funzione alienante di equilibrista sfacciato, che solo l’imperdonabile distrazione della Giuria del festival privò l’anno scorso del premio come migliore attore, al pari del film altrettanto trascurato, per far posto a opere con un’urgenza più evidente sui temi oggi molto à la page. L’atmosfera sospesa che asseconda l’andirivieni dei mojito e i continui spostamenti di De Roller nelle isole per comprendere ed evitare l’irreparabile, trova la conferma di un autore spiazzante come lo spagnolo Albert Serra, che qui sfodera il suo incredibile talento, attraverso la decostruzione narrativa, ambientale e sociale, rimodulando, in un Eden ingannevole, le tensioni crescenti di una umanità che finge di vivere serenamente. Da questo punto di vista Pacifiction, a cominciare dal titolo, è uno dei film da tempo più squisitamente politici, dove ai proclami e alle azioni esposte, contrappone l’assordante silenzio delle palme, le eliche sonnolente dei motoscafi, gli imperiosi tramonti, mentre il rosso incendia lo spazio e non è un caso che il film vada a morire proprio su quel colore. Nelle quasi tre ore di durata Serra, la cui occasione per una conoscenza più vasta delle sue opere andrebbe colta al volo, imprime alle immagini una cadenza di vertiginosa attesa, specie nell’ultima mezzora, quando abbandonata ogni forma di dialogo, De Roller si aggira come un fantasma nella notte, un ammiraglio sogna i gesti forti e il tempo sembra quasi fermarsi, esitante nell’assecondare la meraviglia della natura o la stoltezza dell’umanità. Sicuramente uno dei film dell’anno, probabilmente uno del decennio. .
Adriano De Grandis– ilgazzettino.it
Tahiti, Polinesia francese. Le giornate dell’alto commissario del governo francese De Roller (Benoît Magimel) scorrono tra incontri diplomatici, chiacchiere con gente del posto, locali notturni e tramonti incendiari, in un equilibrio che sembra vacillare quando nell’isola si sparge la voce di imminenti test nucleari in Polinesia, anni dopo Mururoa. In quel paradiso si insinua una angoscia strisciante, un nervosismo latente, come una lunga e insostenibile alba di un ultimo giorno sulla Terra. Dentro o fuori. Il nuovo film di Albert Serra – Pacifiction. Un mondo sommerso – non ammette mezze misure. Se si accetta di seguire il regista spagnolo in questa ipnotica divagazione sulla fine dell’Eden, se si asseconda questo lungo (quasi tre ore) flusso contemplativo dei nostri tempi che portano con sé, perfino in un luogo insospettabile come un’isola polinesiana, qualcosa di decadente e marcescente, il viaggio che ne segue è potente, destabilizzante, meraviglioso nella angosciosa presa di coscienza di una umanità destinata a essere annichilita da se stessa. Albert Serra, tra cromie sovraesposte e divagazioni di ogni genere (stupefacente quella a largo dell’isola durante una sessione di surf), firma una sorta di thriller politico-esistenziale, instilla, goccia dopo goccia, una tensione quasi insostenibile in un lembo/limbo di terra osservata poco prima che la mela del peccato venga colta. Come la fine di un sogno, di cui, evidentemente, le immagini di Serra hanno l’incedere. Gigantesco, nel suo abito coloniale bianco, Benoît Magimel, fisico e fantasmatico allo stesso tempo; testimone di un’epoca che vira in caduta libera nel rosso di un tramonto definitivo e in quello di un mare dalle tinte apocalittiche
Marco Contino – mattinopadova.gelocal.it