Oppenheimer

Christopher Nolan

Durante la Seconda guerra mondiale, il geniale fisico J. Robert Oppenheimer è incaricato di guidare il progetto top secret Manhattan. Oppenheimer e un team di scienziati impiegano anni a progettare e realizzare la bomba atomica, che cambiò per sempre il corso della storia. Ma a metà degli anni Cinquanta Oppenheimer finì sotto inchiesta per il suo operato e soltanto negli ultimi anni della sua vita venne effettivamente riabilitato.

USA 2023 (181′)

Lux Padova Logo

  È una questione di scelta, una questione morale, quella che mette in scena Oppenheimer, dodicesimo lungometraggio di Christopher Nolan e primo film biografico della sua carriera. Uccidere migliaia di persone per salvarne di più? Usare una bomba, l’arma bellica per eccellenza, per raggiungere la pace? I dilemmi del personaggio principale sono gli stessi di uno spettatore che viene lanciato all’interno della mente di Oppenheimer, che sente i suoi tormenti e le sue eccitazioni, non riuscendo mai a fermarli, come in un’infinita reazione a catena. Visiva, sonora, atomica che sia. Non è così importante leggere la musica (capirla) ma sentirla (come un flusso costante e ininterrotto), parafrasando una delle frasi più significative di una calibratissima sceneggiatura (ispirata alla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin) che raggiunge la vetta nella serratissima parte finale. Non a caso la musica di Ludwig Göransson è martellante e copre quasi interamente la durata (181 minuti) di una pellicola che ha un “tappeto sonoro” di una potenza semplicemente devastante, tesa ancora una volta a rappresentare lo stato mentale di un personaggio geniale e inquietante, talmente ambiguo da essere anche lui parte di quei dubbi morali di cui sopra. Siamo effettivamente dentro di lui, ma cosa prova davvero e quanto il senso di colpa può effettivamente limitare ciò che ha compiuto?

Attraverso un costante gioco stilistico, che alterna colore e bianco e nero, immagini mentali soggettive e situazioni oggettive, il tempo prima dello scoppio della bomba atomica e quello successivo, Nolan costruisce l’ennesima narrazione complessa e stratificata della sua carriera, riuscendo a dare ai dialoghi una forza drammaturgica forse mai raggiunta prima nel suo cinema. La tensione si rivela quasi insopportabile in diversi, memorabili passaggi in cui emerge una capacità di gestione del montaggio davvero straordinaria. Viene quasi da chiudere gli occhi, di fronte a certi momenti in tutti i sensi accecanti, all’interno di una pellicola che gioca anche sullo sguardo e su cambi di prospettiva in cui lo spettatore ha sempre un ruolo attivo. Boati ed esplosioni, però, non potranno mai essere disturbanti quanto delle sottili parole, pronunciate lievemente, magari in riva a un lago, mentre nessun altro può sentire. Eccellente prova di Cillian Murphy, ma tutto il cast fa un lavoro egregio: si dovrebbero citare davvero tutti, anche per merito di un grande regista che è anche un grande direttore d’attori, ma una menzione speciale va a un magistrale Robert Downey Jr. nei panni di Lewis Strauss e a una Florence Pugh intensa più che mai.

longtake

 Si tratti di vendicatori mascherati o agenti della Cia, soldati semplici o astronauti, i personaggi che affascinano Nolan devono fare i conti col fatto che la loro superiorità intellettuale è frenata da qualche inconfessato segreto, e insieme misurarsi con la complessità di un mondo ostile che sembra indecifrabile, attraversato da una violenza opaca e difficilmente governabile, per affrontare la quale si può anche arrivare al sacrificio o a una rinuncia prima impensata. Per questo l’incontro con Julius Robert Opennheimer, il fisico che gli Stati Uniti misero a capo del Progetto Manhattan a Los Alamos per anticipare i nazisti nella costruzione della bomba atomica, doveva prima o poi arrivare: genio precoce della fisica quantistica, insofferente ai controlli almeno quanto narciso e volubile, sicuro della propria intelligenza e testardo nel difendere le proprie convinzioni (anche politiche, negli anni Trenta vicino al partito comunista), era l’anti-eroe perfetto per raccontare quell’intreccio tra leggi della Natura e scelte della Storia che spesso ha affascinato il regista (e che in Inception o Tenet aveva avuto due esempi da manuale). Ma il fascino e la forza del film Oppenheimer va al di là della scelta del soggetto e nasce soprattutto dalla fluidità con cui la sceneggiatura del regista racconta i vari momenti della vita dello scienziato (Cillian Murphy), dove si intrecciano in un primo momento gli studi e la direzione dell’equipe raccolta a Los Alamos, quindi i dubbi morali sull’armamento atomico e l’indagine riservata del 1954 sulla sua presunta infedeltà patriottica e infine – terzo blocco – la successiva inchiesta pubblica che vide coinvolto l’ambizioso politico Lewis Strauss (Robert Downey jr) chiamato a spiegare perché dopo la guerra avesse voluto Oppenheimer nella Commissione per l’energia atomica pur conoscendo le sue giovanili simpatie politiche e la sua avversione allo sviluppo di una bomba a idrogeno.

I 181 minuti del film non seguono l’andamento cronologico dei fatti ma saltano avanti e indietro negli anni, alternando il colore (per i primi due blocchi narrativi) con il bianco e nero del terzo (probabilmente perché è stata la televisione, ai tempi in bianco e nero, a tramandarcelo) senza che però mai la fluidità del racconto ne abbia a soffrire. Rispetto ad altri film che usano lo stesso meccanismo per ricostruire un fatto storico (un esempio su tutti JFK diretto da Oliver Stone), Nolan sembra farsi un punto d’onore nell’evitare qualsiasi possibile asperità narrativa: le scene non sono inanellate per arrivare alla spiegazione di una qualche tesi (Oppenheimer era buono o cattivo, fedele o infedele) ma si inseguono per aiutare a capire quello che è appena stato mostrato, come se un «narratore superiore» (e Nolan vuole esserlo) mettesse ogni volta a disposizione le scene che possono aiutare a comprendere meglio quello che abbiamo appena visto. Il cinema di Nolan è logica allo stato puro, come insegnava la regola aurea del cinema classico d’antan (ogni cosa che viene mostrata è necessaria alla comprensione del film) e per questo la durata non pesa, perché tutto qui è davvero funzionale ed essenziale ad accompagnare lo spettatore dentro le complessità e le contraddizioni di quell’uomo fuori dal comune che fu il «padre della bomba atomica» (per citare la celebre copertina del settimanale americano Time).

E così, procedendo per analogie e consequenzialità, il film ci fa capire la sfida del Progetto Manhattan voluto dal generale Groves (Matt Damon), i dubbi e le angosce di un uomo che non vuole ragionare con le opinioni interessate della politica (esemplare l’incontro col presidente Truman, ammirabile cameo di Gary Oldman), le meschinità di certuni e le invidie di altri, la sua voglia di non tradire gli amici (il cosiddetto «affare Chevalier»), i controversi rapporti con la moglie (Emily Blunt) e l’amante (Florence Pugh) e soprattutto quell’idea di dover fare i conti con la Morte, con la capacità dell’uomo di creare e distruggere, che attraversa tutte le scene e che è il vero messaggio di un film assolutamente da vedere.

Paolo Mereghetti – corriere.it

Lascia un commento