Manodopera

Alain Ughetto

Ughettera alla fine dell’800. Lì vive la famiglia Ughetto che attraverserà, con la propria condizione di contadini ed operai, la prima metà del ‘900. Vivranno le guerre a cui gli uomini saranno chiamati e saranno costretti dalla povertà ad andare a cercare il lavoro dove c’è, cioè all’estero, dove però si trova anche la discriminazione per i ‘macaroni’.

Manodopera – Interdit aux chiens et aux italiens
Francia/Italia/Belgio/Svizzera/Portogallo 2022 (70′)

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  Non fatevi sfuggire questo film: è la più bella sorpresa di questo inizio di stagione, prima che entrino in campo i colossi veneziani. È vero che è un film d’animazione (a passo uno, con i pupazzetti, come quelli di Wallace e Gromit) ma qui non c’è niente (o quasi) da ridere, piuttosto c’è la malinconia e la delicatezza con cui il regista ricostruisce la storia dei suoi nonni, emigrati all’inizio del secolo dal Piemonte alla Francia. Ughetto come lui, la famiglia di Luigi e Cesira impara a cercare il lavoro dove lo si trova, per esempio al di là del confine italiano, all’inizio lasciando moglie e figli piccoli a casa, poi facendosi seguire da tutti. Intanto gli Ughetto fanno i conti con la guerra di Libia, poi la Grande guerra, la fame, gli incidenti sul lavoro, i fascisti… Ogni tanto la mano del regista entra in campo, a sottolineare il senso del racconto che il film si è proposto di fare (ricostruire la storia dei nonni), ma soprattutto per aumentare quella dolcissima ma non meno veritiera ricostruzione di un mondo ormai scomparso eppure ancora così pieno di verità e di significato.

Paolo Mereghetti – iodonna.it

  Interdit aux chiens et aux italiens, cioè “vietato ai cani e agli italiani”: così si leggeva, in un’epoca neanche troppo lontana, all’ingresso dei locali pubblici e così recita il titolo originale del film di Alain Ughetto, parco autore del cinema d’animazione francese (due cortometraggi negli anni Ottanta, due lunghi nell’ultimo decennio) il cui cognome dichiara chiare origini italiane. Manodopera, il titolo scelto dalla distribuzione italiana, è meno “urticante” ma, a una seconda lettura, ha un impatto addirittura più subdolo: gli emigrati italiano servono perché forza lavoro, si offrono come ingranaggi dell’industria in cambio di una vita decente. Il côté è autobiografico, nella misura in cui si racconta l’epopea degli Ughetto (Luigi e Cesira, i capifamiglia, sono i nonni dell’autore), piemontesi che ai primi del Novecento sconfinano al di là delle Alpi per cercare fortuna. La misura è nel dialogo a distanza tra il settantenne di oggi (Ughetto) e la nonna di ieri (la voce originale è di Ariane Ascaride, una di quelle attrici che per statuto sa trasmettere impegno emotivo e coscienza civile) restituisce la consapevolezza che una parte sta a rappresentare il tutto, con il passato che si specchia nel presente (e del futuro). L’Italia – e l’italofobia – è cartina di tornasole: le migrazioni economiche ci saranno sempre, cambiano solo le rotte, così come quelle legate alle condizioni politiche in patria, poiché l’autore inquadra la scelta di vita anche al crocevia dell’ascesa fascista. Nell’arco di poco più di un’ora, Manodopera accoglie un mondo in stop motion, con pupazzi in plastilina che non parlano se non attraverso gli occhi, affidandovi quello stupore e quel dolore delegati alle voci di Ughetto e Ascaride. La dimensione biografica è evidente anche in ciò che non c’è, silenzi in primis, con la memoria a fondamento dell’atto d’amore, dove la storia personale e collettiva si esprime soprattutto nella dedizione dimostrata dall’autore (quasi nove anni di lavoro) nel creare un immaginario plastico, umano, originale (i broccoli fungono da alberi, per esempio). Un cinema che vuole imporsi antico nel contemporaneo, che nella restituzione poetica non elude l’elemento del reale, l’irruzione dell’insolito, l’incanto del gesto…

Lorenzo Ciofani – cinematografo.it

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