L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice

Alain Guiraudie

A Clermont-Ferrand, il 35enne Médéric si innamora di Isadora, una prostituta di mezza età sposata con un uomo geloso e possessivo. Quando un attacco terroristico colpisce la città, il giovane senzatetto Selim si rifugia nel palazzo dove vive Médéric, generando una psicosi collettiva. Tutto si complica per Médéric, perché, a differenza degli altri, prova simpatia per il ragazzo e, in più, è alle prese con l’amor fou per Isadora. Una commedia potente e provocatoria che esplora le nevrosi della società contemporanea, tra complottismo, poliamore e desiderio.

 

Viens je t’emmène
Francia 2022 (100′)

 È in uno stile apertamente leggero e umoristico che ricorda il teatro di vaudeville, con ripetuti incontri tra personaggi al contempo banali e colorati, una buona dose di derisione ma senza malizia, prestiti quasi parodici dal genere poliziesco (pedinamenti amatoriali, un arresto, una sparatoria) e dalla commedia boulevard (storie di vicinato con tanti squilli di campanello e quanti più equivoci possibili) che Guiraudie dà uno sguardo obliquo a quello che in definitiva è un ritratto molto serio della Francia di oggi. Perché qui si parla di attentati, paranoie collettive (alimentate dai canali all news), xenofobia e difesa del proprio territorio, anche da parte di coloro che inizialmente sembrano nutrire le migliori intenzioni. Cosa succede infatti in un contesto angoscioso, quando un giovane arabo come Selim (Iliès Kadri), senzatetto, si rifugia per l’inverno nella tromba delle scale del vostro palazzo? Attraverso Médéric (Jean-Charles Clichet), preoccupato ma lacerato dalla sua coscienza e soprattutto totalmente ossessionato dalla sua passione per la prostituta Isadora (Noémie Lvovsky), accadranno molte cose insolite, sorprendenti, persino sbalorditive che coinvolgono i suoi vicini (guidati dall’esilarante Michel Masiero), una collega appiccicosa (Doria Tillier), un criptico duo di receptionist (Miveck Packa e Yves-Robert Viala), un marito molto geloso (Renaud Rutten), un poliziotto iper sospettoso e invadente (Patrick Ligardes), ecc. Giocando con i cliché e dipingendo un ritratto particolarmente divertente dei francesi contemporanei, in una città di Clermont-Ferrand molto cinematografica, Viens je t’emmène potrà sconcertare coloro che conoscono Guiraudie solo dalle sue ultime due opere (Lo sconosciuto del lago e Rester Vertical), ma i fan della prima ora del tono peculiare e libero del regista, che passa dalla stravaganza al realismo, sapranno apprezzare il film come merita.

Fabien Lemercier – cineuropa.org

  Il regista Alain Guiraudie porta nel cuore della provincia francese il suo cinema unico e lunare, mettendo a confronto i sentimenti dei suoi personaggi con le tensioni storiche e sociali della contemporaneità. Ascolto, protezione, cura, attenzione: sono questi i sentimenti di cui parla l’ultimo film di Guiraudie, racchiusi nel titolo originale Viens je t’emmène (letteralmente “vieni, ti ci porto io”), espressione spesso usata per campagne di solidarietà sociale verso persone bisognose. Allo spettro opposto della morale ce ne sono altri: violenza pubblica e privata, rifiuto, negazione, odio. Eppure, nonostante le convenzioni con cui osserviamo e definiamo la realtà, nel mondo del regista francese non esiste una morale che stabilisca confini netti tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Esistono solo l’attrazione e l’amore (di preferenza omosessuale, ma non necessariamente), che muovono i personaggi come pedine di una forza capace di oltrepassare la volontà o le convinzioni. Ed è questo, probabilmente, il vero scandalo di questo film semplice e bellissimo (…)
Nel mondo di Guiraudie c’è spazio per tutti. La sua visione queer espressa ormai da una produzione ventennale (anche se L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice è solamente il suo secondo film a essere distribuito in Italia, dopo il thriller psicanalitico Lo sconosciuto del lago), prevede una sorta di ridefinizione della società, una ripartenza su basi diverse, più leggere e amabili, più goderecce e possibilmente omoerotiche (…) Per Guiraudie, anche nel cuore di un Paese insanguinato, a contare sono la leggerezza del realismo che si apre alla fiaba, il tono stralunato, l’accoglienza declinata secondo una pansessualità che non fa distinzione di genere, età o identità. Per questo, alla fine, il vero dramma del film è l’atto mancato del povero Médéric; la violenza definitiva di una società che frustra il piacere. Guiraudie sa trasformare la realtà in un palcoscenico, usando gli spazi di una cittadina anonima (il centro curato, le zone residenziali, i sobborghi dormitorio, gli alberghetti un poco malfamati) come luoghi ideali dove sciogliere i conflitti storici e sociali. La sua è soprattutto una commedia umanista, dalla parte delle persone coinvolte nel caos del nostro tempo e con una sola risposta a disposizione: il proprio desiderio.

Roberto Manassero – mymovies.it

Ci sono film che accumulano i cliché. Ci sono film che smontano i cliché. E ci sono film che con i cliché giocano facendoli danzare sulla corda tesa della nostra immaginazione. Un passo in più e si rischia il ridicolo. Uno in meno e si scivola nell’inverosimile. Ma se si resta in equilibrio i cliché rivelano verità esilaranti e drammatiche insieme. L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, il nuovo film di Alain Guiraudie, uno degli autori più eccentrici e inclassificabili di Francia, appartiene all’ultimo gruppo. Tanto da avere per protagonista un attore strepitoso che si chiama proprio Jean-François Clichet, faccia facciosa tra Checco Zalone e Chevy Chase, ma senza malizia. Anzi con un languore nascosto dietro gli occhi azzurri che ne fa il prototipo del maschio odierno, fragile ma non domo. È lui che in apertura, fascia sui capelli e tenuta da jogging, abborda una matura prostituta (una regale Noémie Lvovsky) nelle strade ordinate di Clermont-Ferrand, sorta di precipitato della Francia profonda e dei suoi fantasmi. Lui che, dopo aver chiarito le sue intenzioni (“Voglio andare a letto con lei ma non voglio pagare. Trovo la prostituzione immorale. E poi sono innamorato, le farò cose che gli altri clienti non fanno”), la sera la ritrova in un alberghetto per un amplesso focoso subito interrotto. Scena veloce ma meravigliosa: lei non solo accetta di farlo gratis, ma lo paga. Poi gode così rumorosamente che lui teme stia simulando… ma non c’è tempo per l’amore. In tv rimbalza la notizia di un attentato islamista proprio a Clermont-Ferrand (dove per la cronaca non si è mai registrato nulla di simile). Alla porta bussa il marito della signora, comprensivo ma pur sempre marito, oltre che di aspetto brutale (Renaud Rutten). Médéric e Isadora, si chiamano così, devono separarsi, almeno per il momento. Intanto però siamo saliti sulla giostra di Guiraudie e iniziamo a capire come funziona. Quella città circondata dalle montagne, che ha al centro una statua di Vercingetorige a cavallo, diventa il teatro di una nazione divisa, frammentata in gruppi e comunità incomunicanti ma forse non del tutto. Dunque i personaggi si moltiplicano, e così le paure e i desideri, di ogni sorta, in ogni direzione. Sotto casa di Médéric arriva un giovane arabo incappucciato in fuga, Selim (Iliès Kadri). Sarà l’attentatore? E chi sono gli altri arabi che sembrano dargli la caccia? Il buon Médéric prima ne è spaventato, poi lo aiuta e perfino lo ospita, senza smettere di cercare Isadora, con cui amoreggia anche nella cattedrale. Mentre la confusione tutt’intorno aumenta. Appare una bellona decisa a sua volta a ottenere i favori di Médéric (Doria Tillier), visto che è anche la sua boss. Ma Médéric ha altro a cui pensare, Isadora non è insensibile al giovane Selim, del resto in questa specie di Feydeau ai tempi dell’islamismo radicale niente e soprattutto nessuno è ciò che sembra. I mariti gelosi possono essere insieme maneschi e comprensivi. I vicini, spaventati ma anche generosi. E se la tv continua a dettare l’agenda, i cittadini si riveleranno più liberi e contraddittori (oltre che divertenti) dei cliché in cui vengono rinchiusi. Questa almeno la speranza che circola, sottotraccia, in L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice. Una commedia dal ritmo irresistibile, che non ci si sarebbe attesi dal regista del cupo Lo sconosciuto del lago. La giovanissima stagista nera, prima marginale poi sempre più centrale fino al finale sospeso, ci ricorda che il futuro sarà multietnico o non sarà. Mentre il contrasto tra il tono così esplicito di Guiraudie e il ricordo del film forse più celebre mai ambientato a Clermont-Ferrand, il castissimo La mia notte con Maud di Eric Rohmer, ci ricorda quanto ricco, vario e ricettivo può essere il miglior cinema francese.

Fabio Ferzetti – hollywoodreporter.it

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