Svizzera/Francia 2022 (95′)
BERLINO 73° – Orso d’argento per la migliore regia
BERLINO – Saga familiare autobiografica? Testamento spirituale? Metafora sul destino del cinema e dell’arte in generale? C’è tutto questo e qualcosa di più nello splendido film presentato da Philippe Garrel Le grand chariot, giustamente premiato con l’Orso d’argento per la migliore regia (il titolo in francese starebbe per L’orsa maggiore, ma ci sembra molto più pertinente tradurlo in italiano con Il Carrozzone).
Garrel, classe 1948, figlio d’arte (anche il padre Maxim era attore, e infatti lo fece lavorare in ben otto dei suoi primi film), partecipe attivo della generazione sessantottina, membro un po’ sui generis della nouvelle vague ci dà qui il suo film forse più sentito e compiuto giunto al culmine di una carriera più che cinquantennale, con quaranta film all’attivo (il primo a 17 anni), alcuni di un certo successo (due Leoni a Venezia: Non sento più la chitarra, 1991 – Les amants réguliers, 2005) e sempre incentrati sui temi dell’incontro e della perdita, della famiglia, della vocazione artistica. Tornato al colore dopo il b/n di tanti suoi lavori, ci porta nel cuore di una compagnia di marionettisti, formata dal padre Simon e dai figli Louis, Esther e Lena, interpretati da quelli che sono nella realtà i tre figli dell’Autore, mentre a Simon è interpretato da un attore professionista. A completare il quadro, la figura carismatica della nonna (Francine Berge), di professione sarta, a cui è affidato il ruolo di custode dei ricordi e dei principi morali e politici della famiglia.
Per entrare nell’atmosfera di Le grand chariot, vale la pena sottolineare che le troupe di burattinai (così come una volta quelle della Commedia dell’arte e forse al giorno d’oggi solo i circensi) erano composte su base strettamente familiare. Gli affari (gli spettacoli) vanno così così, e d’altra parte i bambini destinatari naturali di tali rappresentazioni hanno oggi altri modi di svago. Però i tre figli di Simon sono affezionati al mestiere e disposti a continuare la tradizione di famiglia. Sennonché Simon muore e poco dopo il carro viene semidistrutto da un terribile temporale. E qui vengono alla luce le diverse aspirazioni degli eredi. Louis, come ha sempre desiderato, vuole passare al teatro ’vero’, vede per se un futuro da attore, è stanco di stare nascosto dietro la sbarra del minuscolo palcoscenico. Tra Esther e Lena si sviluppa una furiosa polemica; se sia meglio continuare col repertorio classico (che comprende addirittura una versione dell’Amleto) o introdurre nuove storie, più adatte ad un pubblico contemporaneo. Bisogna rinnovarsi per restare vivi, e ad ogni modo ognuno è libero di scegliere la sua strada. Ovviamente quel mestiere volge al suo termine… (e ci resta solo sperare che questa non sia anche una amara metafora di quello che potrebbe succedere al cinema!). Alla fine, un film che è un mondo di speranza, ritratto con quello sguardo gentile che è proprio di Garrel.
Giovanni Martini – MCmagazine 80