La bella estate

Laura Luchetti

Nella Torino del 1938, la giovane Ginia vive con il fratello e lavora come sarta in un atelier. La sua routine viene scossa dall’incontro con l’affascinante Amelia, una modella che posa per i pittori della città e la trascina in una nuova esistenza bohémienne in cui Ginia incontrerà l’artista Guido e imparerà a conoscere se stessa e i propri desideri.

Italia, 2023 (111′)

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  Un amore sconfinato quello verso Cesare Pavese, un amore che ha spinto Laura Luchetti a realizzare il suo nuovo lungometraggio – cinque anni dopo Fiore gemello e a un anno dopo una serie come Nudes – portando in scena proprio il romanzo breve pubblicato dallo scrittore nel 1940 e ora diventato cinema (presentato a Locarno, in occasione della 76esima edizione del Locarno Film Festival). In fondo le storie più appassionanti nascono sempre così, inseguendo la propria passione, la propria attrazione verso ciò che ci è più caro. Quindi questa è (anche) la storia della Luchetti, il suo punto di vista e il suo viaggio nella Torino di fine anni Trenta, con le sue eleganze, i suoi atelier e le sue scenografie da Nord Europa dentro la semplicità di una giovinezza che muta, che si trasforma in età adulta, come gran parte del filone narrativo dell’opera di Pavese. E da qui parte l’osservazione di un universo adolescenziale e femminile, per quell’età che la stessa regista dichiara «fondamentale sì, ma anche tragica», in cui si cerca di darsi una forma tra ostacoli spesso invisibili e difficilmente conoscibili. La bella estate indaga proprio questo, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta di Ginia (interpretata da Yile Vianello), giovane sarta alla ricerca del suo posto nel mondo, di Amelia (Deva Cassel, figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel), coetanea seducente e provocante nelle vesti di un simil antagonista che però risulta essere poi, in fondo, una guida. E c’è spazio anche per Severino (Nicolas Maupas, lanciato da Mare Fuori) che indossa le vesti di un fratello premuroso, attento, ma quanto mai moderno nel contesto del romanzo di formazione tradotto in immagini. Nelle campagne piemontesi si aprirà così un futuro idilliaco per Ginia, che spinta dal candore adolescenziale e accompagnata da Amelia lungo le colline che tanto ricordano i supercoralli pavesiani, trova quello che – in un primo momento – crede essere amore in un giovane pittore, per poi accorgersi che l’amore non si impone e, banalmente, non può cercarsi secondo regole. La narrazione procede così con la consapevolezza di convivere con un amore irriconoscibile, in cui c’è spazio per il desiderio, ma anche per timore e paura. In poche parole, l’adolescenza, età «che alberga per sempre in ognuno di noi», riflette la Luchetti, «ma che è anche un passaggio tortuoso, in cui ogni scelta può essere determinante». Il tema è universale, ma nella regia lo sguardo e la visione della regista è evidente. Il lavoro sui colori, la musica e i costumi, rendono così La bella estate una trasposizione difficile ma riuscita e moderna, soprattutto per la visione al femminile e per quella grande domanda: ma Cesare Pavese è ancora moderno? Sì, sempre.

Dario Cangemi – hotcorn.it

  La forza di Cesare Pavese è nella descrizione dei personaggi. Piccoli nitidi dettagli che fanno vivere sulla pagina uomini e donne. Nel caso de La bella estate, soprattutto donne, visto che è uno dei più noti romanzi “al femminile” dello scrittore piemontese. E chi meglio di una regista per portarlo sul grande schermo? Di fronte a tale impresa Laura Luchetti trova una chiave di lettura efficace. A creare il caso è la presenza di Deva Cassel, la figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel, qui al debutto sul grande schermo nel ruolo di Amelia. Quanto Amelia, nella volontà di Pavese e Luchetti, è sfuggente e misteriosa, quanto Ginia, la vera protagonista, è radicata nel presente, divisa tra l’impiego come sarta e i lavori domestici per accudire il fratello Severino. A interpretarla è Yile Yara Vianello, già vista in Corpo celeste e La chimera di Alice Rohrwacher. Ebbene, la chimica tra le due attrici è il fulcro attorno a cui ruota La bella estate, dramma in costume elegante e calibrato. La ricostruzione di un’epoca operata da Laura Luchetti avvolge lo spettatore grazie a personaggi vividi, i cui piccoli drammi catturano da subito l’attenzione nonostante un senso di incompiuto che incombe in sottofondo. A stupire è la rappresentazione di queste giovani donne che, nell’estate del ’38, con la Seconda Guerra Mondiale che bussa alle porte, sono più preoccupate a cercare un’attività che le realizzi o a liberarsi della verginità, ritenuta più un fastidioso ostacolo che una virtù da proteggere in una concezione decisamente moderna e anacronistica per l’epoca. Di fronte a un’estetica che rispetta i canoni dell’epoca in cui la storia è calata, con grande cura nell’aspetto dei personaggi, nei costumi, nelle posture, nella ricostruzione degli ambienti (eccellente il lavoro della costumista Maria Cristina La Parola e dello scenografo Giancarlo Muselli), La bella estate si propone di mostrare l’universalità della forza vitale della gioventù attraverso le vite di un manipolo di amici costretti a lottare contro le difficoltà del quotidiano in una grande città come Torino e la loro reazione di fronte all’arrivo di un elemento estraneo. Elemento che si manifesta nella persona di Amelia, che fa il suo ingresso arrivando a nuoto dal lago dopo essersi tuffata come una sirena e introduce Ginia nel suo mondo fatto di assenzio, pittori spiantati, atelier polverosi e sensualità smaccata…

Valentina D’amico – movieplayer.it

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