La passione per il lavoro spinge Luca, documentarista prestato temporaneamente all’insegnamento in una struttura carceraria, a ricostruire, assieme ai detenuti, il delitto di uno di loro, Beppe, forzandone quasi la volontà. Ripercorrendo a ritroso il percorso degli avvenimenti della vita di Beppe, Luca si trova ad confrontarsi con i legami familiari che ruotano attorno all’accaduto, arrivando ad interrogarsi sul rapporto tra identità e memoria; anche per quanto riguarda se stesso quando viene a trovarlo la figlia che, dopo la separazione, non vedeva da anni… Forse la soluzione per ogni crisi personale sta proprio nell’affetto richiesto dal mondo che ci circonda.
Italia 2022 (117′)
Luca è un documentarista che sta vivendo un periodo difficile della propria vita e che tiene un laboratorio di cinema all’interno di un carcere, insegnando a un gruppo di detenuti a leggere con sguardo critico un’opera filmica. La sua intenzione, con il beneplacito del direttore, è quella di realizzare, per il saggio di fine corso, un film che ripercorra la drammatica vicenda di Beppe (Francesco Di Leva), condannato con l’accusa di aver ucciso una donna che, nel film voluto da Luca, viene interpretata da una giovane attrice cui presta il volto Maria Roveran. Tutti i detenuti del gruppo riescono così a dare un senso alla loro attività, mentre Beppe, coinvolto in prima persona, riesce a fatica a liberarsi di un peso che si porta dentro per una morte di cui non si conoscono con certezza i fatti. Luca, dal canto suo, ripercorrendo gli avvenimenti che hanno portato alla morte della donna, entra in contatto sia con i familiari della vittima, in particolare la sorella Lara (Daphne Scoccia), sia con i familiari di Beppe che lo hanno abbandonato, compresa la moglie (Teresa Saponangelo). Inoltre, grazie all’arrivo improvviso della figlia Greta (Denise Tantucci), che torna a trovarlo dopo anni di lontananza, Luca avrà la possibilità di ripercorrere a ritroso anche il proprio percorso umano, ritrovando gli affetti perduti e dando così una svolta alla sua vita. I nostri ieri, sin dal titolo, fa capire come il fulcro su cui ruota tutto il film sia il passato. Quello tragico di Beppe, che l’ha portato a scontare una pesante condanna, e quello di Luca, seppur più banale e comune (la separazione dalla moglie e una figlia che vede pochissimo). Ma emerge prepotentemente anche il passato di Lara la quale, inizialmente all’oscuro del soggetto del film, accetta di assistere Luca per le riprese all’esterno del carcere; poi, rendendosi improvvisamente conto dell’intenzione dell’uomo di replicare sullo schermo la vicenda della sorella, fugge, rifiutando di proseguire la collaborazione (…) I nostri ieri gioca molto sul contrasto fra le scene girate all’interno della struttura carceraria (l’ex carcere di Codigoro) e quelle realizzate all’esterno, dove i panorami del Delta del Po in inverno, con le distese d’acqua che si insinuano fra le lingue di terra, più che dare un senso di libertà, restituiscono una malinconia diffusa che ben si adatta allo stato d’animo dei personaggi. Paradossalmente è dentro le mura del carcere che i protagonisti, impegnati in un progetto da portare avanti, acquisiscono una motivazione che consentirà loro di riacquistare la voglia di continuare. Emblematica e di forte effetto, sotto questo punto di vista, la scena in cui i ragazzi si preparano alla prima del film, svestendosi delle tute e delle magliette utilizzate in prigione, per indossare i loro vestiti migliori e soprattutto abbandonando le ciabatte, per calzare finalmente le scarpe che assurgono così a strumento di affermazione della loro dignità di uomini. Andrea Papini, autore anche della sceneggiatura in collaborazione con Manuela Tovo, Gualtiero Rosella e Maria Roveran, ha realizzato un film recitato “sottovoce”, che consente alle immagini di ritrovare il senso del tempo, lontano dalla “bulimia frenetica” che ci circonda, come viene definita dallo stesso regista nelle note di regia. Permettendo, così ai personaggi di recuperare una memoria attraverso la quale poter ricostruire un futuro.
Marcello Perucca – taxidrivers.it
Ne I nostri ieri Papini mette in scena una visione del cinema come elemento catartico. I protagonisti, in particolare Beppe, rappresentando le vicende che li riguardano si riconciliano col loro passato. Beppe riesce a restituire il proprio punto di vista su ciò che accadde nel giorno che segnò la sua vita per sempre. Non è in discussione la sua colpevolezza, ma Beppe riesce in qualche modo a rappacificarsi col passato. Anche Lara, la sorella della ragazza uccisa da Beppe, lo fa, grazie a quell’incontro casuale con Luca. Il film è un’occasione per rielaborare il suo dolore. Accostarsi per la prima volta alla realtà del carcere, le fa capire che questo dolore lo condivide in qualche modo con loro, che non è l’unica a soffrire. Lì c’è una sofferenza che non può ignorare e che non vale meno della sua. La moglie di Beppe, invece, grazie a questo progetto, trova finalmente il coraggio di parlare col marito dopo tanto tempo. Anche Luca, il regista, fa un passo in più nella sua storia personale. Quel passo che non era riuscito a fare con il suo film autobiografico. Questo lo aiuta anche nel rapporto con la figlia (…) La scelta di Papini nel raccontare il dramma e il delitto è quella di farlo con molta delicatezza e pudore, tanto che il momento dell’omicidio commesso da Beppe non viene mostrato, ma lasciato all’immaginazione dello spettatore. Una corsa sulla spiaggia è tutto ciò che egli vede. È una forma di rispetto da apprezzare. Non si cerca la spettacolarizzazione. Papini, che viene dal noir e dal thriller, poi, riesce bene a creare curiosità e aspettativa. Lo spettatore vuole sapere cosa è successo davvero, man mano che si ricostruisce la vicenda. Poi, il regista scioglie efficacemente la tensione in maniera elegante e minimalista. Si avvale poi di un cast ben scelto e in particolare, oltre alle interpretazioni solide di Mazzotta, Saponangelo e Di Leva, da segnalare sono le caratterizzazioni dei detenuti, cui danno corpo, tra gli altri, Marta Pizzigallo e Domenico Gennaro. Anche Daphne Scoccia caratterizza bene il ruolo di Lara. I nostri ieri non è solo una riflessione sul potere catartico del cinema, ma anche un invito allo spettatore a guardare senza pregiudizi al mondo del carcere e ad affrontare i propri traumi, anziché metterli da parte o rimuoverli. Solo così è possibile superarli e iniziare un nuovo percorso di vita.
Scilla Santoro – cinefilos.it
Papini ci mostra poi come la forza del cinema consista anche nel consentire confessioni che altrimenti non sarebbero mai emerse (Teresa Saponangelo è perfetta nel ruolo della moglie del camionista che si è, come si suol dire, rifatta una vita). Quello che però costituisce l’originalità del film sta negli altri personaggi che il protagonista (un Peppino Mazzotta che fa dell’understatement la giusta cifra stilistica) incontra. Sono due personaggi femminili scritti e recitati con aderenza alla realtà. Sia la sorella della vittima che la figlia di Luca si fanno interpreti di due condizioni femminili tanto lontane tra di loro quanto bisognose, pur con età diverse, di comprensione e rassicurazione. Luca, anche se talvolta quasi impercettibilmente, viene cambiato da questi due incontri che attraversano il film portandolo a una conclusione carica di tensione in cui Papini si prende anche la libertà di non proporre una vittima da stereotipo. Se lo può permettere grazie a quanto ha saputo costruire in precedenza, facendo sì che lo spettatore possa giudicare quanto accaduto senza ricorrere a un assurdo giustificazionismo ma neppure a un facile pietismo. Beppe è un uomo come tanti che si trasforma in un assassino perché incapace di controllare la propria ansia e di riuscire poi a comprendere cosa lo abbia fatto andare oltre ogni limite. Luca gli offre la possibilità di ‘recitare’ se stesso ponendolo dinanzi a quanto accaduto con la lucidità che solo il fare cinema con sguardo pulito può consentire.
Giancarlo Zappoli – mymovies.it