Nelle foreste paludose del “confine verde” tra Bielorussia e Polonia, i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa cercano di varcare il confine per raggiungere l’Unione Europea. Pedine di una crisi geopolitica le cui vite si intrecciano con il prodigarsi degli attivisti umanitari ed il cinismo delle guardie di frontiera.
Zielona Granica
Polonia/Germania/Francia/Belgio 2023 (147′)
VENEZIA 80° – Premio speciale della Giuria
VENEZIA – Negli ultimi giorni di Festival, quando il bisogno di leggerezza, dopo questi anni così duri e difficili, sembrava essere la tendenza comune di molti degli autori dentro e fuori Concorso, vedi Larrain, Lanthymos, Polanski, Linklater, per non parlare di chi della leggerezza ha fatto la sua cifra stilistica, come Woody Allen o Quentin Dupieux, ecco arrivare due film, questo della Holland e quello di Garrone (Io Capitano), che, con la forza delle immagini, costringono alla riflessione su aspetti della realtà, che forse sappiamo, ma non sappiamo vedere o conoscere, perché invisibili tra i temi dominanti della comunicazione ufficiale.
Il confine verde è quello tra la Bielorussia e la Polonia, chilometri e chilometri di alberi di paludi, di animali, che separano l’Europa dalla zona di influenza russa e che oggi sono uno dei luoghi di accesso possibili per chi cerca di entrare in Europa “clandestinamente”, ma viene invece respinto e stritolato dalle politiche europee e da quelle dei singoli governi, in questo caso da una parte la Polonia cattolica e razzista, dall’altra la Bielorussia di Lukashenko. In un bianco e nero, che nulla ha di verde, ma che trasmette il freddo dei luoghi e l’odore acido delle paludi in cui si muore annegati, Agnieszka Holland, giustamente insignita del premio speciale della Giuria, ha girato un film, che sa diventare un forte atto di accusa nei confronti dell’inerte Europa politica e soprattutto nei confronti del proprio paese, che alimenta i respingimenti e i maltrattamenti. “Non ha alcun senso impegnarsi nell’arte se non si lotta per quelle voci, se non si lotta per porre domande su questioni importanti, dolorose, a volte irrisolvibili, che ci mettono di fronte a scelte drammatiche. Questa é esattamente la situazione in atto al confine tra Polonia e Bielorussia”
Diviso in capitoli, nella prima parte il film racconta la storia di una famiglia siriana, padre, madre tre bambini e il nonno, che, raggiunta la Bielorussia in aereo, illusa dalle false promesse di Lukashenko, cerca di passare il confine con la Polonia per raggiungere un parente in Svezia, a loro si unisce una donna afghana. Inizialmente tutto sembra filare liscio, ma quando vengono abbandonati al confine con la Polonia, le cose precipitano e loro si ritrovano sperduti nel bosco, senza sapere dove andare in una trappola di brutalità e di negazione di ogni diritto, respinti brutalmente da una parte e dall’altra. La loro storia sarebbe sufficiente come atto di denuncia politica, ma la Holland non si limita a stendere il suo sguardo sulle le vite dei profughi e lo spinge oltre, all’interno del suo paese, la Polonia, che sembra aver smarrito ogni sentimento di Solidarietà, così fortemente manifestato in un passato recente, tanto da diventare bandiera e parola d’ordine della rivolta contro la dittatura. E così nei capitoli successivi ci sono da una parte i soldati, che si prestano “per dovere” o per indifferenza a questa disumanità, dall’altra i volontari, che rischiano di persona per portare gli aiuti possibili, cibo e medicine e sullo sfondo una popolazione indifferente, che preferisce non sapere, quando non manifesta apertamente la propria avversione. Nel “vaffanculo” dei giovani in automobile rivolto a ciò che resta della famiglia siriana seduta sull’orlo del marciapiede c’é tutto il fallimento di ogni principio umano, di ogni comunanza che ci faccia riconoscere, a prescindere dai confini, come appartenenti alla stessa specie.
Finché nell’ultimo capitolo i confini si aprono: è iniziata la guerra in Ucraina, i profughi ucraini vengono accolti con gentilezza dalle autorità. Cosa hanno di diverso dagli altri? Agnieszka Holland, tenendosi saggiamente lontana da ogni semplicismo e da ogni induzione alla facile emozione, ci ha dimostrato, ancora una volta, il potere enorme delle immagini, anche di quelle inventate, ma così somiglianti e sovrapponibili al reale. Green Border trasforma in materia vivente le immagini, le storie, le vite, mostrandoci quelle terre desolate, dove si consumano tragedie invisibili, volano via vite umane che non hanno goduto di alcun rispetto. Un racconto tragico che vive su questo confine che non è verde, ma grigio e gelido pieno di grida soffocate e di immagini che preferiremmo non vedere.
Cristina Menegolli – MCmagazine 86