Gigi è un vigile di un paesino friulano, dove sembra non succedere mai niente. Ma, mentre con la sua auto pattuglia i dintorni, si trova ad indagare su un’inspiegabile serie di suicidi. Quello che Comodin fotografa è uno strano mondo di provincia a metà tra realtà e fantasia, dove un giardino può anche essere una giungla e un poliziotto sempre sorridente non chiude il cuore all’amore. Il ritratto pudico e poetico di una società arida e distratta.
Italia 2022 (102′)
75° LOCARNO FILM FESTIVAL – Premio speciale della giuria dei Comuni di Ascona e Losone
Sempre attento osservatore di personaggi “atipici” che si situano ai margini di una società ipertecnologica e iper performante dominata dal maschio cisgenere, Alessandro Comodin si interessa, per il suo ultimo lungometraggio Gigi la legge, a suo zio, un vigile di campagna che vive in una cittadina nel nord dell’Italia (regione della quale il regista è originario). In uno sforzo sovrumano di indagare una società, quella periferica dell’Italia settentrionale dominata da un “far niente” che di dolce ha ormai ben poco, Alessandro Comodin segue le peripezie di suo zio in una sorta di huis clos che si riassume quasi esclusivamente all’abitacolo della sua macchina di funzione. Di Gigi (Pier Luigi Mecchia) non sappiamo quasi nulla, tranne qual è il suo lavoro. Nessuna informazione ci è data sulla sua vita privata malgrado i suoi colleghi lo considerino un latin lover incallito. Ed è proprio questa vaghezza, il bisogno di costruire la nostra propria narrazione, il mistero che attornia il personaggio principale del film, a renderlo particolarmente interessante. L’obiettivo del regista non è infatti quello di proporci un ritratto preciso, sociologico di suo zio ma piuttosto quella di permetterci di vivere il quotidiano di un uomo che sembra camminare sul posto costruendosi le proprie, salvifiche chimere. Gigi vive In un luogo non ben definito, contraddistinto solo da un dialetto friulano (Pasolini sembra riecheggiare nelle parole dei personaggi del film) sfoderato con orgoglio e da una campagna che si trasforma a tratti in giungla, come il giardino del protagonista, l’unico luogo dove lo vediamo brevemente in vestiti civili. Vigile di mezza età che, da buon maschio italico, sembra non aver perso nulla della sua vena seduttoria Gigi sembra bloccato nel passato. Fra realtà e fantasia (molta) Gigi istaura con la sua nuova collega Paola, e con l’ausilio della radio di servizio, una relazione a distanza fatta di sottintesi e battutine velatamente erotiche che si trasformano in una vera e propria parodia: ma Paola esiste veramente, o non è che un fantasma creato dalla mente di Gigi? Le ronde quotidiane, sorta di rituali soporifici, sembrano susseguirsi all’infinito fino all’improvviso suicidio sotto un treno di una ragazza che spinge Gigi a indagare nei meandri del suo mondo interiore, oltre la realtà stessa e la maschera sociale (a tratti grottesca) che si è costruito con gli anni.
Attraverso un’osservazione minuziosa ed empatica, Comodin riesce a trasformare la realtà che l’ha attorniato da ragazzino, e che Gigi incarna alla perfezione, in tragica poesia. Il suicidio sotto un treno diventa allora metafora di una noia ormai trasformatasi in (comoda) immobilità. Sebbene, come la ragazza ritrovata sui binari, Gigi si consoli e si compiaccia in un romanticismo d’altri tempi, il treno della vita, l’aprire gli occhi su un mondo ben più cupo di quello che vuole vedere, potrebbe improvvisamente travolgerlo. La scena finale su una panchina di un ospedale psichiatrico in cui, per la prima volta, il vigile ci rivela qualcosa della sua interiorità, è in questo senso potente ed emotivamente toccante…
Giorgia Del Don – cineuropa.org
Gigi è un uomo di mezza età che lavora per la polizia municipale di un piccolo paesino. Trascorre le sue giornate pattugliando le strade del posto e intrattenendo discussioni con i cittadini e i colleghi, mentre tutt’attorno poco succede eccetto per il suicidio di una ragazza sui binari del treno. Nel privato, Gigi ha una strana fascinazione per il suo giardino, un mondo misterioso che un vicino gli ripete di tagliare. A Gigi però piace perdersi all’interno della sua giungla personale… Alessandro Comodin prosegue nel suo lavoro di ricerca cinematografica sensibile e percettiva, ai confini tra il documentario, la finzione e la semplice realtà. Erano i tratti dei fortunati film precedenti, L’estate di Giacomo e I tempi felici verranno presto, e tornano oggi nel curioso Gigi la legge, un ritratto d’osservazione quotidiana attorno alla figura di un poliziotto di provincia. A turbare la quiete c’è una morte improvvisa, ma non è il pretesto per un’indagine appassionante che cambia i ritmi del piccolo paese. La vita di Gigi rimane la stessa, fatta di pattuglie con i colleghi, brevi incontri con i cittadini, un flirt radiofonico con la nuova collega alla centralina. Comodin eccelle nel diluire il singolo momento fino a farlo divenire straniante. Qui gli bastano le poche suggestioni fuori dall’ordinario del rapporto del protagonista con la natura per infondere un’atmosfera surreale nel resto della sua esistenza, e in qualche modo far maturare uno sviluppo che arriverà soltanto alla fine, con un ultimo viaggio nell’auto di pattuglia e una sorprendente quanto sommessa conversazione su una panchina. È nella sua semplicità un colpo di scena, di certo un ottimo esempio di come sovvertire l’inerzia di una storia proprio quando lo spettatore aveva imparato a cullarsi nella sua ripetitività. In un mondo in cui tutto è esplicito, Gigi conserva il mistero solo nella relazione con il suo giardino-giungla, uno dei leitmotiv attraverso cui Comodin fa balenare la complessità della sua regia, sempre sotto la superficie.
Tommaso Tocci – mymovies.it