Filippine 2023 (215′)
LOCARNO – Ancora una volta (dopo aver presieduto la giuria nel 2013 e aver vinto il Pardo d’Oro con From what is before nel 2014) Lav Diaz è presente a Locarno con un film in concorso. E ancora una volta ritroviamo al centro di questa nuova storia il tenente Hermes Papauran, protagonista del film presentato lo scorso anno a Venezia When the Waves Are Gone, sempre interpretato dal bravissimo attore-feticcio di Diaz John Loyd Cruz,.
Un prequel? Non proprio. Diaz preferisce considerarli due momenti diversi di una stessa storia. Tra l’altro questo film è stato girato prima di quello presentato a Venezia. Entrambi nascono dall’urgenza di raccontare le atrocità che il popolo filippino ha dovuto affrontare durante il regime di Duterte con la sua caccia spietata ai narcotrafficanti finalizzata non al bene della popolazione ma al controllo del traffico stesso. Se nel primo film la crescente tensione di una caccia all’uomo (l’anziano psicopatico poliziotto) possedeva una sua compattezza, questa volta la ricerca delle “essenziali verità” evocate dal titolo si sposta su un piano di spazi e di tempi diversi, con più cornici che entrano l’una nell’altra. Il film si apre con l’inquadratura notturna dell’esecuzione di uno spacciatore ad opera della polizia filmata in un’oscurità, che evoca il clima di paura, di ingiustizia e di rassegnazione in cui vive il popolo filippino. Nel suo controcampo una terrazza illuminata dalla luce del sole fa da sfondo al dialogo tra Papauran e una collega, suo superiore, a cui egli ribadisce la necessità di principi etici e morali nel comportamento delle degenerate forze dell’ordine filippine.
Da questo inizio, che si potrebbe anche considerare troppo didascalico, si sviluppa, nel succedersi di lunghi piani sequenza, che sono l’anima delle durate e della profondità del cinema di Diaz, la ricerca, attorno cui ruota tutto il film, di una attrice scomparsa e probabilmente uccisa quindici anni prima, Esmeralda Stuart, che aveva appassionatamente abbracciato la causa ambientalista, in particolare la tutela dell’aquila delle Filippine, considerata tra le più rare al mondo. Una ricerca che apre ad una quantità di piste, ipotesi e alternative destinate a mettere presto in discussione le certezze di Papauran e a farlo perdere in una spirale ossessiva di dissociazione e schizofrenia. Un processo in cui le immagini di un documentario su Esmeralda si trasformano nella memoria emotiva di Hermes, fino ad una sua identificazione con lei e le sue scelte di vita. Spogliato della sua veste di poliziotto Papauran immerge se stesso e la sua ricerca della verità nell’imponderabile e catastrofica forza degli elementi naturali. Una sequenza onirica, in cui il tenente denudato e imbavagliato viene condotto al guinzaglio da un bambino, segna il passaggio alla seconda parte del film, dove l’elemento natura, come nella gran parte dei suoi lavori, diventa dominante, dove il paesaggio non è che il riflesso di uno sguardo sempre più dolente e sgomento di chi sa che la verità sarà per sempre celata dalle acque livide di un lago o dalla cenere con cui l’eruzione del vulcano ha coperto ogni cosa, trascendendo e trasfigurando ogni forma di comprensione razionale.
Girato nei luoghi reali subito dopo la catastrofe, il film è un esempio di come in Diaz i confini tra realtà e sogno vengano azzerati nel flusso ipnotico delle immagini. La ricerca di Esmeralda diventa un’altra ricerca, che porta alla fine all’abbraccio con la madre che ha perso il figlio, dal confronto-scontro con un nemico esterno alla disponibilità di Hermes ad accogliere dentro di sé, con la propria parte femminile, la pietas.
Cristina Menegolli – MCmagazine 84