Francia/Italia/Polonia/Belgio 2023 (92′)
BERLINO 73° – Orso d’argento per il miglior contributo artistico
BERLINO – L’unico film italiano in concorso a Berlino è in realtà un opera a dir poco ibrida, o se preferite transnazionale; l’autore regista, Giacomo Abruzzese, è si nato a Taranto 40 anni fa, ma vive e lavora da più di un decennio in Francia, dove si è costruito una solida fama come autore di cortometraggi, invitati e premiati in numerosi festival europei e no. Autore quindi cosmopolita, così come la produzione franco-polacca-italo-belga, la varietà delle lingue parlate, la nazionalità degli attori.
Disco Boy, suo primo cortometraggio, è stato anche premiato con un inopinato Orso d’argento “per il migliore contributo artistico”( evidentemente per la fotografia, ma di questo parleremo dopo.) La trama: due amici bielorussi, appassionati di musica rave (c’è qui il primo accenno al disco boy del titolo) e di football, entrano in Europa via Polonia con la scusa di una partita di calcio e di lì passano in Francia, decisi a restarci. Individuati dalla polizia dovrebbero essere espulsi; ma mentre il primo, Michail, accetta di tornare a casa, il secondo, Aleksey (interpretato da Franz Rogowski, ormai una colonna del cinema di qualità europeo) che vuole restare, ha una sola possibilità: arruolarsi nella Legione straniera. E questo un ben noto ‘topos’ della mitologia giovanile e anche cinematografica, ma con una base assolutamente veritiera; chiunque si arruoli, non importa chi sia stato o cosa abbia fatto in precedenza, avrà al termine dei 5 anni di ferma una nuova identità e la cittadinanza francese. Aleksey fa il passo, ma per il film cominciano i guai. Tutte le scene dell’arruolamento e dell’addestramento sono a dir poco imbarazzanti; con un istruttore (che forse voleva richiamare l’ufficiale di Full Metal Jacket) dotato di ridicoli baffoni ottocenteschi, la presunta caserma un cortile spelacchiato, la reclute irreali, e così via.
Ad ogni modo il nostro eroe viene mandato in missione in Nigeria dove il suo plotone ha l’incarico di liberare alcuni funzionari rapiti della compagnia petrolifera che sfrutta i ricchi giacimenti locali. E qui avviene l’incontro-scontro con il deuteragonista Jomo, capo del MEND, acronimo per Movement for the emancipation of the river Delta. Il quale, in una scena precedente, ha confessato ad un amico che, a guerra finita, ha intenzione di trasferirsi a Parigi per fare il disc-jockey (ecco ancora il disco boy del titolo). Segue un confuso scontro armato, che, per evidenti ragioni di budget, è poco più di una scaramuccia. Girata però agli infrarossi, con la telecamera termica. E senz’altro è a questa scena e a poche altre nebbiose atmosfere dreamlike che si deve l’ attribuzione da parte della giuria del premio alla cinematographer Helene Louvart, peraltro molto famosa oltralpe. Nella seconda parte del film torniamo in Francia, e seguiamo Aleksey aggirarsi per una Parigi spettrale, in preda ai suoi fantasmi o forse ai suoi rimorsi da reduce. Certo qui Abruzzese dà prova con un certo successo della sua verve fantastica, quasi psichedelica. Jomo appare e scompare da dietro gli alberi dei bois di Parigi, o forse solo nella mente sconvolta del legionario? Ci aspettiamo di vederlo rientrare in scena ed ecco invece apparire la bellissima sorella Udoka (già vista al villaggio esibirsi in danze sciamaniche) che adesso lavora in una discoteca, e di cui il protagonista si innamora cercando disperatamente.di avere un contatto. Ma cerca lei o non forse il fratello, nel frattempo assurto a suo alter ego (qualcuno ha parlato di mirror movie, film specchio)? Disco Boy si conclude ex abrupto ,senza un vero finale, lasciando lo spettatore basito,.. Ora, pur riconoscendo ad Abruzzese una notevole sensibilità a livello di immagine e di suono, i difetti a livello di costruzione e di sceneggiatura appaiono macroscopici, pur tenendo conto della lunga gestazione e della pausa causata dal COVID. Lo aspettiamo ad una prossima prova.
Giovanni Martini – MCmagazine 80