Luca Treves, celebre cuoco esperto di spezie viene contattato da Andreas Dürren Fischer, restauratore e con lui parte alla volta della Germania: per Luca l’obiettivo è cambiare vita, trovando nuovi clienti nel campo della ristorazione. Ma, sullo sfondo di una complessa indagine di polizia, Andreas si rivela essere un personaggio ambiguo e misterioso; il viaggio si trasforma per Luca in un incubo: l’unica ancora di salvezza per lui sembra essere il suo diario, nel quale da anni scrive ricette e cataloga le spezie…
Luca Treves è uno chef tanto famoso quanto chiuso e riservato come carattere. Viene contattato da Andreas Dürren Fischer, un importantissimo restauratore di quadri fiamminghi. La richiesta è tanto semplice quanto particolare: Luca lo deve accompagnare in un giro di incontri professionali che lui ha già fissato. Avrà così modo di fare la conoscenza con delle realtà di alto livello che gli potranno far compiere un salto in avanti nel mondo della ristorazione. Parallelamente l’ispettore capo Garrant, che ha subìto in passato la sparizione della figlia, sta indagando su un giro di rapimenti di minori dietro il quale c’è una mente organizzatrice tanto acuta quanto perversa. La chiamano De Ober, L’Oste. Non è importante aver letto il romanzo di Massimo Donati (opera prima dell’autore) per poter godere di questo film che lo vede esordire in un lungometraggio. Anzi, forse è meglio accostarsi al romanzo solo dopo aver visto il film, per non privare la visione dell’apprezzamento per la cura ai dettagli. Una cura che lo sguardo di un – finora apprezzato – sceneggiatore ha saputo offrire allo spettatore. A partire dall’utilizzo della luce naturale che mostra gli abissi più cupi dell’animo umano, immersi spesso nella luminosità di una natura che assiste agli eventi senza parteciparvi anzi, semmai, andando in controtendenza. Va aggiunta subito, come premessa, una constatazione che nel corso di questi anni, a partire dalla letteratura nordeuropea, si va facendo sempre più evidente. I romanzi di valore (e i film che ne sono stati tratti) nell’ambito del genere cosiddetto ‘giallo’ sono in grado di fornirci letture della società contemporanea, talvolta più profondi e arricchenti di molti saggi sociologici. Il libro di Donati è andato nelle librerie nel 2013. Sono trascorsi 10 anni da allora e spesso, una troppo lunga macerazione di un’opera conduce ad esiti artificiosi e freddi sul grande schermo. Non è quello che è accaduto a questo film che, grazie alla sceneggiatura a quattro mani con Alessandro Leone, e ad un cast di attori assolutamente azzeccato raggiunge gli obiettivi. I quali sono molteplici perché non ci si limita ad affrontare, con la giusta dose di suspense, la classica domanda su quali ragioni reali stanno dietro alla richiesta di Andreas a Lucas lavorando in parallelo sull’indagine di Garrant, che già ci suggerisce precisi collegamenti. Quello che maggiormente attrae l’attenzione di chi guarda è il gioco perverso dell’uno nei confronti dell’altro che non resta mai su un piano superficiale ma progressivamente affonda le proprie radici nelle tenebre di un animo che si fatica a definire umano ma che purtroppo lo è.
La pedofilia, con tutti i risvolti aberranti a cui dà origine, è un male che non è mai inutile ricordare affinché la guardia non si debba abbassare. Ma qui si va oltre. Perché lo spazio dinanzi ai due protagonisti progressivamente si chiude mentre quello di Garrant si apre a nuove, dolorosissime consapevolezze ma soprattutto, oltre all’indagine psicologica che sia Lorenzo Richelmy che Fabrizio Ferracane (e anche Fabrizio Rongione seppure su un livello diverso) conducono anche dal punto di vista delle posture sui loro personaggi, c’è un altro e fondamentale aspetto che fa di questo film un’opera che merita attenzione. Entrambi i protagonisti hanno una dote di eccellenza in una forma artistica. Per uno si tratta dell’espressione figurativa di un particolare periodo storico mentre per l’altro della continua ricerca per raffinare le preparazioni delle proprie proposte creative in ambito culinario. Tutti e due hanno un rapporto quotidiano con la bellezza e la raffinatezza ma per uno di loro questo si è tradotto in perversione mentre per l’altro… In questa esigenza di venire a conoscere si condensa ulteriormente il piacere della visione che si traduce anche nel desiderio di comprendere il senso del titolo…
Giancarlo Zappoli – mymovies.it
In Diario di spezie aleggiano i fantasmi dell’impossibilità di scegliere il proprio destino, di avere giustizia dalla vita, di mondarsi dalle colpe insanabili. E’ dal conflitto fra questi temi che si genera il meccanismo drammatico, e si determina il tono del film. Tutti gli elementi filmici partecipano a questo dialogo fra correnti sotterranee: con gli attori abbiamo lavorato sulle cadenze, sulle posture, sulle relazioni fra i corpi, mentre per la fotografia è stato molto importante l’uso consapevole della luce naturale, che racconta l’indifferenza dell’universo al destino umano. Gli spazi aperti dell’inizio, si fanno via via chiusi e cupi, l’auto di viaggio diventa una cella claustrofobica. Tutto partecipa a raccontare il campo di battaglia di tre umanità in lotta per la sopravvivenza e l’altrui sopraffazione.
Massimo Donati – note di regia