Seconda guerra mondiale. Salvatore Todaro comanda il sommergibile Cappellini della Regia Marina. Nell’ottobre del 1940, mentre naviga in Atlantico, si profila la sagoma di un mercantile, il Kabalo, che in seguito si scoprirà di nazionalità belga. Scoppia una battaglia nella quale Todaro affonda il mercantile. Ed è a questo punto che il Comandante decide di salvare i 26 naufraghi per sbarcarli nel porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo è costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini.
Italia 2023 (120′)
Un sottomarino come palcoscenico della vita, con i personaggi chiusi in uno spazio da cui non possono fuggire e dove ognuno deve «recitare» la propria parte. Costretto probabilmente a fare di necessità virtù scartando le dispendiose scelte spettacolari del cinema bellico all’americana (tanto per intenderci), Edoardo De Angelis per il suo Comandante ha trasformato l’avventura del capitano Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino) in una specie di teatro delle idee, con la macchina da presa quasi sempre incollata ai volti dei marinai, a dare maggior enfasi non alle azioni ma alle parole (scritte dal regista con Sandro Veronesi). La storia è quella del sommergibile della Regia Marina italiana Cappellini che nel 1940, in azione nell’Atlantico, affonda un cargo belga teoricamente neutrale, che però viaggiava a luci spente e aveva iniziato per primo a cannoneggiare. Le leggi della guerra avrebbero imposto di abbandonare i 26 superstiti ammassati su una scialuppa, condannandoli così a morte sicura, ma Todaro mette davanti la legge del mare e decide di salvarli. Anche a rischio della propria incolumità perché è costretto a navigare in superficie prima di farli sbarcare alle Azzorre. La scelta anti-spettacolare rischia all’inizio di innescare un cortocircuito retorico con il bisogno di raccontare il comandante, il suo orgoglio militare e il senso del dovere che lo fa imbarcare nonostante la dolorosa armatura in metallo che deve portare per una frattura alla schiena. Così come finisce per amplificare troppo l’enfasi bellica con cui è sollecitato l’equipaggio. Ma una volta salpati, il teatro cui danno vita i personaggi ha il sopravvento e l’italianità rivendicata da Todaro per spiegare le sue scelte a favore dei naufraghi perde qualsiasi coloritura ideologica. Così come le sottolineature dialettali con cui sono raccontati i vari personaggi acquistano il sapore di un abbraccio ecumenico che annulla ogni retorica, come la bella idea che un napoletano possa imparare a friggere le patatine da un belga. E il film trova quell’equilibrio tra «forma», «contenuto» e «messaggio» che all’inizio rischiava di sfuggirgli.
Paolo Mereghetti – corriere.it
“Noi il ferro del nemico lo affondiamo, ma gli uomini li salviamo”. Sembra una banalità, ma in tempi di guerra un’azione simile è destinata a cambiare determinati parametri, a rimarcare quanto la legge del mare non possa sottostare alle leggi del conflitto. Per il suo quinto lungometraggio Edoardo De Angelis abbandona il campo d’azione abituale (il territorio partenopeo che abitava e caratterizzava Mozzarella Stories, Perez, Indivisibili e Il vizio della speranza) e si getta in acque finora inesplorate con Comandante, quasi kolossal da una quindicina di milioni di budget che riporta a galla le gesta di Salvatore Todaro, pluridecorato militare italiano passato alla storia per aver tratto in salvo, nell’ottobre del 1940, 26 naufraghi belgi nelle acque dell’Atlantico. Per la prima volta in concorso a Venezia – il film inaugura questa 80ma edizione della Mostra – De Angelis porta sullo schermo uno script firmato insieme a Sandro Veronesi (dal quale è tratto l’omonimo romanzo edito da Bompiani) e costruisce insieme a Pierfrancesco Favino – ennesimo, nuovo intercalare per la sua recitazione (il veneto stavolta) – la versione cinematografica di un uomo realmente esistito, autore di un gesto che in tempi come i nostri (la guerra russo-ucraina, che il film sottolinea con l’esergo iniziale, o le innumerevoli tragedie che ancora tingono di sangue i mari con le morti dei migranti) rimbomba e non può lasciare indifferenti. Il cuore e lo stomaco dell’opera sono da rinvenire ovviamente nel sommergibile Cappellini della Regia Marina che il Comandante governa durante la seconda guerra mondiale: un “pesce di ferro” che si nasconde negli abissi, che di tanto in tanto riemerge, all’interno del quale uomini provenienti da qualsiasi parte del paese formano un corpo unico. Cameratismo e onore, certo, che trovano nel rispetto incondizionato verso Todaro – uomo capace di guardare oltre, come quando decide di lasciare a terra un marinaio e questi tre giorni dopo viene operato d’urgenza per peritonite – l’ulteriore tassello per mettere da parte eventuali incomprensioni o tensioni date dalle differenze di provenienza territoriale o dalla situazione di cattività in cui questo equipaggio si ritroverà dopo lunghi giorni di navigazione (…) “Non sono un fascista, sono un uomo di mare!”: è dunque questo il punto nodale intorno cui ruota il film del regista napoletano, che dimostra enorme coraggio e disinvoltura nell’alternare momenti epici, e bellici (…) a situazioni “interne” meno spettacolari ma di forte tensione emotiva.
Valerio Sammarco – cinematografo.it