Close

Lukas Dhont

Léo e Rémy, 13 anni, sono sempre stati amici, legati da un affetto fraterno sin da piccolissimi. Ma con l’arrivo in una nuova scuola le cose cominciano a cambiare fino a quando un evento inaspettato li separa. Léo allora si avvicina a Sophie, la madre di Rémy, per cercare di capire cosa è davvero accaduto.

Belgio/Olanda/Francia 2022 (105′)
CANNES 75°: Gran Premio della Giuria

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  Il senso di Dhont per il cinema è fatto di sguardi e silenzi, ellittiche traiettorie interiori e stati d’animo febbrili che in Close trovano un incanto speciale. In questo nuovo romanzo di formazione il regista belga torna a indagare il tema dell’identità tra scoperta di se stessi ed elaborazione della tragedia e si affida soprattutto all’istinto di Eden Dambrine, che nel volto ha una luce speciale e che con Gustav De Waele trova una complicità nutrita di grazia, mistero, tenerezza e di un legame esclusivo spezzato con rabbia. Nella seconda parte il film ci porta altrove, alla scoperta di sentimenti diversi, più aspri, lasciandoci con la nostalgia di una magia perduta per sempre. Alla sua opera seconda, per molti la più difficile, Lukas Dhont centra nuovamente il bersaglio e il Grand Prix al Festival di Cannes conferma il talento del 31enne regista belga che anche in Close, riflette sulla violenza, anche solo psicologica, subita da chi non è conforme alle aspettative della società, da chi sfugge a una convenzionale idea di mascolinità e non riesce a rivendicare il diritto alla propria fragilità. “Penso che Close riprenda i temi di Girl ha raccontato Dhont – pur essendo un film completamente diverso. C’è una rottura, l’identità resta centrale, ma declinata in un’altra chiave. Volevo prima di tutto fare un film sulla bellezza e la fragilità dell’amicizia.”

Alessandra De Luca – ciakmagazine.it

  Alla fine è arrivata la commozione in questo festival fin troppo altalenante, grazie al giovane belga Lukas Dhont, classe 1991, un solo film già all’attivo: Girl, storia di un adolescente che non voleva accettare la propria sessualità. Adesso con Close (Vicino) racconta la difficoltà di fare i conti con i primi turbamenti, quelli che accompagnano la presa di coscienza della propria identità di genere. È quello che accade ai due tredicenni Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav DeWaele), amici da sempre e naturalmente anche compagni di scuola, che condividono ogni momento libero: giocano insieme, corrono spensierati per i campi (i genitori di Léo sono floricultori e hanno immensi spazi in cui fingere di essere inseguiti da cavalieri nemici), spesso dormono uno a casa dell’altro. Ma all’inizio del nuovo anno scolastico, qualche domanda troppo indiscreta spinge Léo a mostrarsi sempre meno disponibile: non aspetta più l’amico per andare insieme a scuola in bicicletta, negli intervalli preferisce frequentare altri amici, arriva addirittura a iscriversi alla squadra di hockey sul ghiaccio per sottolineare una distanza anche negli interessi. E il gusto di dormire insieme diventa un problema. Fino a quando, dopo l’ennesimo litigio, Rémy compie una scelta che non permetterà più a Léo di non fare i conti con la realtà. Dhont è un regista che conosce le sfumature, che predilige il non detto e sa raccontare l’affacciarsi dei primi turbamenti sessuali senza usare nemmeno una parola: bastano gli sguardi dei due ragazzi (davvero straordinari, con una menzione speciale per Dambrine: se vincesse la Palma del miglior attore non ci sarebbe da meravigliarsi) per spiegare quello che li agita, uno alle prese con la trasformazione dell’amicizia in qualcosa di diverso, l’altro obbligato a fare i conti con la paura di essere etichettato e magari ostracizzato per colpa di quella «amicizia»….

Paolo Mereghetti – corriere.it

  Opera seconda di Lukas Dhont, regista belga classe 1991 che col suo esordio Girl (2018) aveva conquistato la Camera d’Or di Cannes come miglior opera prima, Close si fa largo nuovamente nel mondo dell’adolescenza, che il cineasta si prefigge anche in questo caso di cogliere nelle sue fasi trasformative e di passaggio più delicate, dolorose e scivolose. Se nella sua opera prima l’esplorazione di una sessualità tutt’altro che risolta lasciava il segno anche grazie al notevole apparato formale, tutto stretto intorno alla protagonista transgender, in Close, che quella vicinanza e prossimità le evoca fin dal titolo, la percezione di una dose di maniera troppo ingombrante e di una relativa, controproducente artificiosità si fanno già più marcate, dando vita a un accademismo che finisce col tarpare le ali e togliere respiro al racconto. Dopo un incipit a dir poco folgorante, che mostra una corsa nei prati dei due protagonisti con sensibilità estetica abbagliante e lancinante per fotografia, messa in evidenza dei dettagli e coinvolgimento epidermico, il film non riesce infatti a librarsi e a sganciarsi rispetto al tallonamento del suo giovanissimo, seppur notevole, attore protagonista, che pure dà prova di notevole carisma e sensibilità al cospetto della macchina da presa dal primo all’ultimo minuto. Ambientato nella provincia belga, Close si propone come uno studio – anzitutto visivo, data la sceneggiatura scarnificata e ridotta all’osso – della transizione tra l’infanzia e una fase successiva della vita in cui la percezione precoce della propria omosessualità, come accade a Léo, può generare numerose sospensioni, fragilità e contraccolpi. Andando eccessivamente in sottrazione sulla componente psicologica, per prediligere un controllassimo apparato estetico, in cui luci di taglio e imbellettamenti di sorta la fanno sempre da padrone, il film di Dhont finisce purtroppo col forzare troppo la mano, smarrendo empatia ed emozione lungo il percorso e costruendo un ritratto pre-adolescenziale che sa troppo di posticcio e di retorico, come se il regista tenesse più a mostrare la sua abilità nelle riprese che badare alla sostanza di una piccola ma significativa storia di crescita…

longtake.it

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