L’universo in cui si muove Barbie (Margot Robbie) sembra perfetto: ogni mattina si sveglia per iniziare una splendida giornata, uguale alla precedente e alla successiva, e ogni sera si rifugia nella sua casa dei sogni insieme alle amiche. Nonostante tutto sembri andare per il verso giusto, dentro di lei iniziano ad annidarsi ombre e paure che la porteranno a interrogarsi sulla sua esistenza. Nel corso di questo viaggio ricco di domande, Barbie e Ken (Ryan Gosling) finiranno addirittura nel mondo reale e le cose per loro si complicheranno ulteriormente.
USA/UK 2023 (114′)
I’m a Barbie girl, in the Barbie world, Life in plastic, it’s fantastic!
Quarta prova dietro la macchina da presa per Greta Gerwig, regista sempre attenta a raccontare personaggi femminili in cerca di una propria identità (si vedano in tal senso i precedenti Lady Bird e Piccole donne), che torna a collaborare in fase di sceneggiatura con il compagno Noah Baumbach, dopo Frances Ha e Mistress America. Questi due film precedenti, in cui la sceneggiatrice era anche l’attrice protagonista, erano entrambi diretti da Baumbach mentre in questo caso è la prima volta in cui i due collaborano a un copione poi diretto da lei. Primo adattamento cinematografico live action della celebre serie di fashion doll della Mattel, Barbie si apre con una divertente citazione/parodia di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, già utilizzata anche mesi prima dell’uscita tra le tantissime iniziative di (viral?) marketing che hanno accompagnato la produzione di questa pellicola. Si capisce molto presto come in questo lungometraggio ci sia un’ambizione molto più alta di quella che si potrebbe pensare a prima vista di fronte a una pellicola sulla bambola più venduta del mondo, a partire dal confronto tra il mondo incantato di Barbie e quello reale, come specchi di due società incentrate una sul femminile e l’altra sul patriarcato. Gli spunti sono importanti e coerenti con quanto messo in scena, ma i toni da comizio e una ridondanza impressionante rendono i messaggi troppo didascalici e inutilmente ripetuti. Non mancano di certo le idee a questo film (notevole l’estetica visiva dell’universo di Barbie), ma non sono abbastanza per dare vita a un intrattenimento del tutto compiuto e il film finisce per risultare meno incisivo del dovuto. Molto colorato e a tratti divertente, è un lungometraggio che incuriosisce ma che non riesce a essere del tutto ficcante, soprattutto in una seconda parte che rimette in pista troppi concetti già espressi in precedenza. Buona prova di Margot Robbie, perfettamente in parte in un ruolo meno semplice di quello che sembra.
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Tutto può succedere se l’autocoscienza irrompe nel mondo di frutta candita dove le Barbie di tutti i tipi hanno da tempo realizzato l’utopia femminista. Ken va in crisi, Alan non sa più quale parte della barricata scegliere, e lei, la reginetta del rosa shocking, entusiasta di vivere nella sua Barbie Land, precipita in una spirale di dubbi, timori, domande senza risposta. La prima, attesissima, versione live action delle avventure della bambola più famosa del mondo (nelle sale da domani con Warner) oscilla tra colpi di genio e messaggi prevedibili, invenzioni scintillanti e intrecci farraginosi. Poteva essere perfetta, ma non lo è. C’è tutto, c’è troppo, così la scelta di rileggere l’icona in chiave femminista, intuizione felice e nell’aria del tempo, finisce, a tratti, per appesantire il racconto caricandolo di rimandi contorti che rallentano il ritmo e confondono i pensieri. All’introduzione folgorante che, citando “2001 Odissea nello spazio”, trasforma la prima Barbie nel monolite destinato a cambiare le sorti dell’umanità femminile, segue la descrizione variopinta di un universo dove, sul modello della capostipite, le signore hanno preso il potere e lo manovrano con disinvoltura. Gli uomini, Ken in testa (Ryan Gosling), sono sullo sfondo, in spiaggia, superficiali e primitivi, accessori di un contesto che di loro non ha alcun bisogno. La crisi della protagonista (Margot Robbie), il salto dalla terra dei giocattoli a quella della realtà, la scoperta dei mali del secolo, ansia, disagio, depressione, provocano effetti a catena, nuove alleanze, reazioni indignate dei super manager della casa di produzione Mattel, contaminazioni tra dolori veri, di bambine e madri in carne ed ossa, e dolori di plastica, di bambole e fantocci che hanno perso di vista la loro ragion d’essere. Il patriarcato è in agguato, dietro l’angolo, pronto a tornare cavalcando proprio le frustrazioni maschili, sempre molto pericolose, anche quando appartengono a un Ken pieno dai lucidi muscoli, avvolto in ampia pelliccia bianca, prestante eppure infelice.
Per ristabilire gli equilibri, per riaffermare quanto sia difficile il mestiere di essere donne, per riacquistare l’autorità perduta, bisogna imboccare la strada della sorellanza, l’unica che non tradisce mai. Le bambole alleate ritornano in sella, Ken matura al punto da capire che la forza di un uomo vero non si misura in base all’assenza di lacrime (“sono un uomo liberato, so che piangere non vuol dire essere debole”), e lei, Barbie, davanti alla storica scelta tra restare finta o diventare vera, fa il passo che, prima di lei, in modo diverso, aveva fatto anche la Sirenetta perdendo la coda di pesce e acquistando le gambe in nome dell’amore. Il fine, però, è ben diverso, Barbie diventa donna perché vuol essere indipendente, appropriandosi, fino in fondo, della speciale sensibilità femminile. Anche stavolta, come nella trasposizione di “Piccole donne”, la regista Greta Gerwig, che firma la sceneggiatura con il compagno regista Noah Baumbach, affida a un personaggio famoso (nell’altro film era Jo March, la sorella scrittrice del romanzo di Louisa May Alcott) il compito di trasmettere un messaggio di emancipazione che ha ancora bisogno di essere diffuso e sostenuto. Colori, coreografie, canzoni, regalano al film le qualità di un musical pieno di ironia e fanno (quasi) dimenticare certe involuzioni ridondanti, certe ripetizioni, certe incongruenze di copione. Il pubblico ideale è adulto, quello delle bambine troverà comunque il modo di divertirsi, dentro un orizzonte giocoso, anche se denso di simboli, rimandi, sottotesti.
Fulvia Caprara – lastampa.it