Una coppia francese di mezza età, Vincent e Olga, si trasferisce in un villaggio nel cuore della campagna galiziana. Il loro intento è entrar maggiormente in contatto con la natura, coltivand,o ortaggi e riabilitando case abbandonate, ma i loro vicini di casa sono disturbati dalla loro visione idilliaca e dalla loro presenza. Le ostilità si acuiranno quando i due si opporranno alla realizzazione di un impianto eolico su un appezzamento di terreno nei pressi della loro tenuta, bloccando il progetto.
Spagna/Francia 2022 (137′)
Classe 1981, il regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen aveva già stupito in passato con film come Che Dio ci perdoni (2016) o Madre (2019), prima di raggiungere la piena maturità con la serie televisiva Antidisturbios del 2020. Con As bestas alza ancora l’asticella, dando vita a un impressionante thriller che gioca più sul minimalismo che sugli eccessi, arrivando a implodere più che a esplodere, attraverso una serie di profonde dinamiche psicologiche capaci di turbare più di qualunque atto di violenza, comunque presente nel corso della visione. Aperto da un incipit di enorme suggestione audiovisiva, As bestas non è però soltanto un film che punta sulla suspense e sulla tensione – comunque altissima dall’inizio alla fine – ma è anche un prodotto fortemente politico e incredibilmente neutrale, in cui tra buoni e cattivi si possono trovare dei paradossali ribaltamenti. Lo scontro che si va a creare non soltanto su paranoie e xenofobie, ma è anche di natura ideologica: se la coppia francese vuole integrarsi totalmente con la campagna per poter vivere maggiormente a contatto con la natura, dall’altra parte i loro vicini galiziani vorrebbero approfittare del progetto delle pale eoliche per ottenere i soldi necessari per scappare da quel luogo. Alternando sequenze silenziose e piene di mistero, a momenti totalmente parlati e di stampo quasi teatrale, Sorogoyen firma un’inquietante sinfonia che rivoluziona le aspettative dello spettatore, dando vita anche a un sorprendente colpo di scena: lungo la narrazione, quello che può apparire come un finale, sarà invece un nuovo inizio di un “altro film”, incentrato sul tema della resistenza e dell’adattabilità dell’essere umano. In mezzo a tante sequenze oscure e perturbanti, c’è anche spazio proprio per una fortissima umanità, come dimostrano gli sguardi tra Olga e la madre dei suoi vicini di casa verso una conclusione difficilmente dimenticabile. Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2022, As bestas ha poi ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui ben 9 premi Goya, compresi quelli per il miglior film e il miglior regista.
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Non è propriamente un film d’azione As Bestas, ma quello di cui parla è la stessa identica materia di cui si occupa il cinema d’azione: cosa significa essere uomo? A coprire questa domanda c’è una trama che chiama in ballo tantissimo altro. C’è una coppia di francesi che arriva nella Galizia per coltivare la terra, loro sono beneducati e trovano una realtà rurale molto ignorante e poco tollerante, ci sono quindi questioni di integrazione e diffidenza verso l’estraneo (anche se viene dallo stato adiacente dell’Unione Europea). C’è la proposta di una grande società di installare pale eoliche e compensare tutti per l’uso dei loro terreni, che i locali vogliono accettare, per fare qualche soldo ed elevarsi dallo stato di miseria in cui vivono, mentre i francesi invece rifiutano perché ingiusta, inadeguata e poco ecologica, facendo in modo che nessuno possa vedere quei soldi, e quindi ci sono anche questioni di mondialismo e sfruttamento. C’è infine lo scontro tra questo mondo arretrato e quello moderno che prende le vie violente, del resto tutto è ispirato a un fatto di cronaca. Eppure dietro questo film e tutti questi temi sollevati, c’è uno scontro molto maschile che se prende la via delle parole è solo come antipasto per quella fisica, in cui quello che viene detto non vale mai per il senso che hanno le parole pronunciate ma per il tono e il linguaggio del corpo con i quali vengono dette. In cui parlarsi è un altro modo di picchiarsi (prima di picchiarsi). Rodrigo Sorogoyen ha presentato questo film a Cannes e appartiene a quella categoria di registi che (come Refn) conoscono il cinema d’azione e intendono perseguire le sue finalità, spesso appoggiandosi alle sue regole, in altri contesti e con altri toni. As Bestas è sicuramente uno dei suoi film migliori e una visione clamorosa. A partire dalla prima scena, pazzesca, in cui con un fantastico rallentatore vediamo tre uomini domare un cavallo a mani nude, senza strumenti, solo con la loro forza contro quella selvaggia del cavallo, siamo introdotti in questo mondo di maschilità tradizionale, di concreta determinazione campagnola. Che testa ci vuole per costringere un cavallo contro la sua volontà a mani nude e senza usare né gli strumenti né le tecniche che anni di evoluzione della doma hanno messo a punto? Che ottusità e al tempo stesso che determinazione è necessaria per farlo ogni volta e avere successo? Quella è la gente contro cui si scontra la coppia francese. In particolare sono due fratelli i più duri. Hanno preso di punta la coppia da quando è arrivata. Prendono in giro lui e lei, li punzecchiano ma inevitabilmente se la prendono più con lui (Denis Ménochet). Non sono di lì e questo è un crimine più che sufficiente. Sono più educati e quindi, pensano, si credono migliori, cosa ancora peggiore. Quando poi impediranno l’arrivo del denaro la misura sarà colma e comincerà il gioco del gatto con il topo: raccolti rovinati, sassi lanciati contro la casa, la certezza che qualcuno invada le loro proprietà di notte.
Diventa una persecuzione e un’ossessione fino a che non c’è un confronto, ancora a parole. Qui è dove anche il più scettico degli animi e anche il più diffidente rispetto al cinema da festival crolla. Sorogoyen mette a segno un colpo da festival di Cannes proprio (che poi è dove il film è stato presentato l’anno scorso): un’unica ripresa, senza stacchi e senza mai muovere la macchina da presa (quindi una sola inquadratura) dei due uomini che parlano, uno di fronte all’altro e entrambi di fronte a noi. C’è tutto, a partire dalla scelta visiva. In questo orrendo bar di campagna un grasso e un magro, magrissimo, scavato, si confrontano. Il grasso è il francese bene educato, che viene dalla città e ha un certo benessere dietro di sé, l’altro sembra partorito dalle rocce che rendono quelle terre difficili da coltivare, scavato dalla fame e consumato da una vita di risentimento, rabbia e frustrazione. C’è una scrittura eccezionale, questa conversazione è un confronto durissimo pieno di tensione. Infine c’è la recitazione. Ménochet e Luis Zahera sono un concentrato di nervi, due bombe pronte a esplodere con atteggiamenti diversi e prendono tutto quello che di buono c’è in quella scena che abbiamo descritto, lo padroneggiano e iniziano a gestirlo. Gestiscono quello spazio e la loro vicinanza da fermi, gestiscono i tempi di quel dialogo in piano sequenza, gestiscono i loro corpi diversi. Da quella conversazione non si torna più indietro: la storia precipita e arriva all’epilogo di cronaca, di nuovo ripreso con delle idee eccezionali che non stonerebbero in un film d’azione. Sarà ovviamente una questione fisica, maschile e primitiva, un confronto animalesco non diverso da quello iniziale con il cavallo, una vera sfida di sopraffazione…
Gabriele Niola – esquire.com