True Mothers

Naomi Kawase

Dopo tanti tentativi falliti nel rimanere incinta, Satoko (Hiromi Nagasaku) decide di intraprendere il duro e tortuoso percorso dell’adozione insieme a suo marito Kiyokazu (Arata Iura). La coppia farà la conoscenza del piccolo Asato, ma loro felicità verrà messa a dura prova da Hikari (Aju Makita), ragazza ventenne che dichiara di essere la madre biologica del piccolo…

Asa ga kuru
Giappone/Francia 2020 (139′)

Dopo la sofferenza causata da una serie di trattamenti della fertilità senza successo, Satoko e suo marito Kiyo Kazu decidono di intraprendere la strada dell’adozione. Sei anni dopo aver adottato un bambino, Satoko ha lasciato il lavoro per concentrarsi completamente sulla famiglia, che vive un’esistenza pacifica. Ma un giorno, una telefonata minaccia la felicità di Satoko e il delicato equilibrio trovato. Una donna di nome Hikari, madre biologica di Asato, vuole indietro il figlio o dei soldi. All’epoca dell’adozione Hikari aveva 14 anni. La coppia non aveva più avuto sue notizie, e Satoko credeva che la madre biologica stesse vivendo una vita tranquilla con la propria famiglia. Un giorno, mentre Asato è a scuola, Satoko riceve la visita di Hikari. Ma alla sua porta si presenta una giovane donna molto magra che non somiglia in alcun modo all’adolescente che ha dato alla luce il loro figlio adottivo. Satoko sente istintivamente che questa donna non è Hikari. E se non è Hikari, allora chi è? Cosa farà Satoko quando scoprirà lo scioccante passato di Hikari?

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Partendo da un romanzo di Mizuki Tsujimura (tradotto a livello internazionale con il titolo Morning Comes), Kawase costruisce un’inchiesta sentimentale sulla maternità raccontata attraverso un’idea di montaggio che sembra voler mettere in dialogo la complessità letteraria della narrazione e l’ambizione del poema visivo. In perpetua ricerca di una catarsi che possa riverberarsi nel difficile equilibrio tra le due dimensioni, verso un tentativo di destrutturazione della linearità che collima con la confusione e il disorientamento. Tra passato e presente, incrociando storie e personaggi, True Mothers inizia con un conflitto tra due madri: una è Satoko, la protagonista, l’altra resta fuori campo, una voce al telefono che pretende un risarcimento perché il figlio è stato spintonato dal bimbo di Satoko. È per certi versi una falsa partenza, perché è uno scontro i cui veri contraccolpi sulla vita della donna sono indiretti e laterali, una pista che funziona come apertura verso altro.

In una struttura che si sviluppa lungo sei anni, i cui capitoli si rincorrono per assonanze apparentemente libere, True Mothers segue essenzialmente tre direttrici: la storia di Satoko e suo marito che, scoperta la sterilità dell’uomo, adottano Asato, frutto della prima volta di una liceale; quella di Hikari, la madre naturale, innamoratasi di un compagno e rimasta incinta dopo un rapporto en plein air; e l’incontro, sei anni dopo l’adozione, tra le due donne, con la madre naturale che ricatta l’adottiva. Si sente il coinvolgimento della regista, si percepisce la tensione emotiva di chi ha la cognizione dell’adozione e sa entrare in connessione con la molteplicità del sentimento materno, anche se si avverte un po’ troppo la costruzione teorica a discapito dell’impatto emotivo. Kawase segue l’idea di una maternità liquida, espressa attraverso più corpi (qui ce ne sono tre: la naturale, l’adottiva e la responsabile dell’associazione, che fa da tramite tra le due) che appartengono tutti alla natura. Una visione panica che si interseca nel paesaggio urbano di una Tokyo dominata dalle disuguaglianze (i genitori adottivi abitano al trentesimo piano, segno di un’estrazione benestante; la casa della famiglia mamma naturale alloggia in una casa troppo piccola per contenere tutti i membri e ancora più piccola è quella condivisa dalla ragazza con la collega), con il mare che avvolge e immagini sovraesposte a determinare una fluidità sospesa tra tattile e cerebrale.

Lorenzo Ciofani – cinematografo.it

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