Marianne, scrittrice “infiltrata” per mesi tra le donne delle pulizie del ferryboat che attraversa la Manica, riesce a toccare con mano i ritmi massacranti e le umiliazioni che affronta chi è costretto a quella vita, ma anche l’incrollabile solidarietà che unisce le sue compagne. La vera identità di Marianne, però, non può restare nascosta per sempre…
Ouistreham
Francia 2021 (106′)
Marianne (Juliette Binoche) si è trasferita da poco a Ouistreham, sulla sponda francese del canale della Manica. Cerca un impiego, offrendosi di fare le pulizie al salario minimo e finendo per accettare condizioni di lavoro disumane sui traghetti in partenza: sveglia all’alba, turni massacranti, 230 letti da rifare in 90 minuti. Con lei altre compagne in difficoltà economica, come Christèle, mamma sola di tre bambini, e la giovanissima Marilou. Marianne, però, di quel lavoro ha bisogno per altre ragioni perché, in realtà, appartiene a un altro mondo che vuole comprendere dall’interno e sul campo cosa sia effettivamente il precariato. Con quelle compagne condivide solo un pezzo di strada ma la loro sorte non potrà mai essere la stessa.
Lo scrittore Emmanuel Carrère torna dietro la macchina da presa, lasciandosi ispirare dal romanzo-inchiesta della giornalista Florence Aubenas. Tra due mondi è un altro esempio di come, attualmente, il cinema francese sia forse l’unico capace di raccontare l’oggi e, in particolare, le contraddizioni economiche che alimentano la frattura sociale. Che la prospettiva sia quella del datore di lavoro (come nell’ultimo film di Stephane Brizè, Un altro mondo) o della madre single che lotta tutti i giorni per non perdere il proprio posto di lavoro (come in Full Time – Al cento per cento), lo scollamento della società sembra ormai insanabile. Nel film di Carrère questo divario si colora di sfumature solidaristiche all’insegna di una umanità che non chiede nulla in cambio e che si accontenterebbe anche solo di quella “angel share” (la parte del whisky che evapora dalle botti, ma anche un inaspettato flute di champagne) descritta da Ken Loach in La parte degli angeli.
Resta, però, uno iato di fondo, incolmabile, tra il mondo di Marianne e quello delle sue amiche che offre al regista lo spunto per riflettere su un’altra contraddizione, ovvero quella di un processo creativo (la scrittura di un libro ma anche la realizzazione di un film) che per essere autentico pretende di collocarsi sullo stesso piano del proprio oggetto di analisi, ma sconta alcuni effetti collaterali in termini di dubbi morali e menzogne di classe. Come i traghetti del film, c’è chi li usa come mezzi di trasporto e chi, come mezzi di sostentamento, senza che gli uni e gli altri se ne avvedano (emblematica la sequenza delle addette alla pulizia che devono restare invisibili ai passeggeri e scomparire prima della loro salita a bordo). Due mondi, appunto, che ogni tanto si sfiorano ma restano distanti.
Marco Contino – ll Mattino di Padova