Quel giorno tu sarai

Kornél Mundruczó

La storia di una famiglia ebrea dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai nostri giorni, attraverso le vicende di tre generazioni: dalla nascita miracolosa di Eva in un campo di concentramento fino alla vita quotidiana del nipote Jonas. Un toccante confronto con l’eredita della Shoah, una riflessione potente sulla memoria e sull’identità.

Evolúció
Germania/Ungheria 2021 (97′)


Tre storie, tre generazioni: Éva (Lili Monori), la capostipite; sua figlia Léna (Annamária Láng); Jónás (Goya Rego), il figlio di quest’ultima. Tre luoghi che descrivono le fasi storiche differenti vissute dai personaggi: Auschwitz, Budapest e Berlin. La storia di questa famiglia serve per descrivere i destini traumatici dei singoli che confluiscono gli uni negli altri come tranquilli flussi d’acqua. Ed è n peccato che la distribuzione italiana abbia scelto per titolo il “blando” Quel giorno tu sarai, rispetto alla più scientifica titolazione originale. Il sintetico Evolution esprime perfettamente il discorso che il regista, assieme alla sceneggiatrice – e compagna – Kata Wéber, vogliono costruire intorno alla definizione di identità. L’identità storica e la personalità sentimentale si forgiano attraverso le esperienze, che appunto formano la crescita di una persona.
I tre personaggi messi in scena sono l’evoluzione di una famiglia, e ogni individuo ha avuto una propria evoluzione, derivata dalla vita familiare oppure dalla società in cui ha vissuto. E tutti e tre i protagonisti di Quel giorno tu sarai subiscono l’esempio primario, ovvero gli atteggiamenti della madre di Éva (che a sua volta fu condizionata dalle violenze del nazismo).

Per raccontare questo, Mundruczó divide il film in tre parti, dando al titolo di ogni “episodio” il nome di un personaggio. Il primo tassello, ambientato ad Auschwitz, è quello più breve: l’introduzione storica per capire i traumi opprimenti di questa famiglia e il futuro dell’Europa. Auschwitz è il grado zero dell’umanità; eppure, sulle sue ceneri si è potuto costruire, lentamente, un nuovo mondo (la piccola Éva, ripescata dalle fogne del campo di concentramento, simboleggia una nuova speranza).
L’episodio denominato Léna, ambientato nella Berlino odierna, è uno scontro tra memorie: quella storica di Éva, che non può dimenticare gli orrori, e quella di Léna, propensa a lasciarsi tutto alle spalle. Rispetto al primo episodio, questo è molto dialogato. Principalmente Léna rimprovera la madre di averle fatto vivere un’infanzia e un’adolescenza sotto il segno del terrore. Nel discorso di Éva (improntato alla memoria) c’è anche la Budapest del 1956, anno in cui il comunismo russo (quello che aveva liberato gli ebrei superstiti dai campi di concentramento) mostrava il suo volto dittatoriale.
Infine, il terzo episodio è dedicato al futuro. Jonas, il figlio adolescente di Léna, cresce anche lui in un ambiente saturo di nevrosi e di pregiudizi. Non vuole essere riconosciuto come ebreo, perché a Berlino (da intendere come Germania e come Europa) sta crescendo nuovamente una destra xenofoba. È lui ad avere tra le sue mani il futuro, e nella scena finale, la più dolce e pregnante di tutto il film, c’è la luce di una sana speranza: mentre la società continua con le sue idiote rappresentazioni (radicando pregiudizi e false radici), lui si lascia andare alla vita.

Quel giorno tu sarai conferma quanto Kornél Mundruczó sia un autore completo, con una propria cifra stilistica. Anche in quest’ultimo lungometraggio c’è la fisicità della macchina da presa, con lunghissimi piani sequenza, con articolati virtuosismi, che rappresentano il caos e la stratificazione delle/nelle vite quotidiane. Ma Evolution è anche ulteriore testimonianza di come il cinema ungherese stia vivendo un proficuo decennio di successi, con pellicole che sanno ben rappresentare la realtà (nazionale ma di riflesso europea) oppure sappiano mettere in risalto gli errori storici. Mundruczó fa parte integrante di questa generazione che ha saputo dare lustro internazionale a una cinematografia per molti decenni marginale…

Roberto Baldassarre – taxidrivers.it

Se Pieces of a Woman si apriva su un lungo, asfissiante, perturbante piano sequenza che raccontava il miracolo quotidiano della nascita repentinamente trasformato in una tragedia indicibile, Quel giorno tu sarai si rivela con un’altra ripresa senza soluzione di continuità ma che inverte la parabola: dalla tragedia al miracolo.
È una sequenza di quasi venti minuti, che fino ai quindici rinuncia alle parole adottando un tessuto sonoro composto solo dai rumori degli spazzoloni. Siamo in un campo di concentramento nazista, alcuni uomini stanno pulendo muri e pavimenti: è una danza claustrofobica, acuita dalla profondità di campo esaltata dal formato in 4:3. All’improvviso, dal fondo di un tombino, una voce: un uomo toglie la grata e spunta una bambina piccolissima, nuda, che urla come urlano gli infanti che hanno bisogno di comunicare con il mondo. È una nuova venuta al mondo, una rinascita, il grido della sopravvivenza: protetta dall’abbraccio dell’uomo, la bambina viene portata in salvo e sembra avere una tale fame di vita da non patire il freddo né la paura delle bombe piovute dal cielo. È una sequenza straordinaria, ispirata a fatti realmente accaduti, suggellata da una potentissima immagine che è segno di speranza e resistenza che è anche l’impronta del cinema di Kornél Mundruczó, autore spudorato che legge il naturalismo alla luce dell’elemento surreale. E che si edifica sulla collaborazione con Kata Wéber, compagna di vita e lavoro il cui vissuto familiare costituisce la materia viva e pulsante del film.
Quel giorno tu sarai – il titolo originale spiega molto: Evolution – è una riflessione dell’identità ebraica, sulla persistenza del trauma attraverso le generazioni, che interroga la memoria come eredità e ostacolo. Tenendo sempre presenta quella bambina che spunta dal vuoto per riempirlo di senso, Mundruczó e Wéber costruiscono una macchina tripartita, concentrandosi nel secondo blocco sul confronto tra un’anziana reduce all’Olocausto e la figlia. Si tratta di un’altra lunghissima sequenza – 36 minuti con una coda finale che rivendica la prospettiva allegorica del regista – che tematizza in senso narrativo la decisione del governo ungherese di bloccare le restituzioni e le indennità di compensazione ai sopravvissuti. Il conflitto si sviluppa sul privato, la tensione esplode sul doppio piano della memoria che sta svanendo (l’anziana) e della memoria della quale liberarsi per potere essere ebrei a proprio modo (la figlia). “Non voglio approfittare di una tragedia” dice la figlia affermando di non voler combattere contro i cavilli burocratici del governo. Ma la sua è una dichiarazione d’intenti generale: alla sua generazione spetta il compito di voltare pagine mai dimenticando la lezione trasmessa, continuare a raccontare ciò che è stato ma anche provare a liberarsi di un trauma collettivo e personale che fa parte di un patrimonio da tutelare senza restarne ingabbiati.
Il terzo episodio è berlinese e si focalizza sull’antisemitismo che gli adolescenti hanno ereditato senza averne contezza né consapevolezza. Sembra il piccolo coming of age del protagonista, alla ricerca di un posto nel mondo che non sia influenzato dal peso del passato, quello che appartiene alla sua storia e quello che subisce.Operazione molto pensata, complessa e a tratti ostica, Quel giorno tu sarai rappresenta un’opzione alternativa e insolita per la ricorrenza del Giorno della Memoria: alla ricostruzione storica della tragedia gli autori preferiscono convogliare la meditazione attorno alle ricadute sulla contemporaneità. Girato in tredici giorni, è un film di ricerca, un laboratorio dove si toccano e si mischiano realismo e fiaba, Kammerspiel e allegoria, dramma sociale e virtuosismo registico.

Lorenzo Ciofani – cinematografo.it

 

 

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