La storia vera di Ugyen, un giovane insegnante del Bhutan moderno, che si sottrae ai suoi doveri mentre progetta di andare in Australia per diventare un cantante. Come rimprovero, i suoi superiori lo mandano nella scuola più remota del mondo, in un villaggio chiamato Lunana, per completare il suo servizio. Dopo un viaggio di 8 giorni di cammino, Ugyen si ritrova a disagio, esiliato dalle sue comode abitudini e dalle moderna tecnologia occidentale; sarà la forza d’animo degli abitanti del villaggio a fargli scoprire l’autenticità di un mondo tanto lontano quanto umano.
Lunana – A Yak in the Classroom
Bhutan 2021 (110′)
L’abile regia dell’esordiente Pawo Choyning Dorji squaderna alcuni dei principali temi in agenda senza però ridurre il respiro mitopoietico del racconto. La storia di un giovane insegnante indolente verso la propria missione educativa – un bambino, in una delle battute fulminanti del film, gli ricorda che “un insegnante tocca con mano il futuro” – e convinto di essere destinato a cose più grandi in una illusoria terra promessa (l’Australia), è documento (basato sulla vicenda personale dell’attore protagonista) e parabola universale, attraverso la quale il film lascia decantare i suoi tanti sottotesti.
La solidarietà tra le generazioni e tra i popoli (nella neve che cade meno che in passato, c’è il battito d’ali della farfalla del riscaldamento globale); l’ecologia integrale di chi si riconosce vita tra vita, parte di uno spirito universale che soffia dove vuole, negli uomini, negli animali, nelle montagne; l’amarezza verso i millennials che possono fare ma scelgono di sottrarsi, fuggendo le responsabilità.
Pawo Choyning Dorji non trasforma nulla in biasimo, preferendo semmai usare l’ironia (quando ad esempio uno dei pastori ricorda il paradosso di chi desidera lasciare il Buthan, la nazione della “più alta felicità interna lorda”) e mantenere vivo il timbro poetico, venandolo di nostalgia.
Tra il Buthan e l’Australia non c’è di mezzo solo il mare ma un percorso di conoscenza: è la scuola più remota del mondo, nel villaggio di Lunana, che assume simbolicamente nel film l’ancipite valenza di un altrove spaziale e mitico: è lì, tra le vallate dell’Himalaya, nel posto più improbabile ed essenziale della terra (per la mancanza di comfort, certo, ma anche perché basta a sé stesso) che il maestro “dovrà apprendere” la lezione della vita, imparando come si possa davvero trovare l’alba dentro l’imbrunire. E scegliere comunque l’anonima ribalta di un sole ingannatore..
Giancarlo Arnone – cinematografo.it
Lunana non è un luogo di finzione. È effettivamente un villaggio sul tetto del mondo situato lungo la catena dell’Himalaya al confine tra Bhutan e Tibet. Tutti gli abitanti sono stati coinvolti nelle riprese di una storia che potrebbe ad ogni sequenza precipitare nella retorica. Perché i bambini sono tutti simpatici e ubbidienti, perché Ugyen viene attratto dalla fanciulla più carina che ogni giorno si colloca su un’altura per offrire il suo canto all’ambiente che la circonda, perché la povertà del luogo è estrema. Il rischio viene però ampiamente superato grazie ad un elemento che si rivela fondamentale: la sincerità. Non c’è nulla di artefatto in questo film che ha meritato la candidatura all’Oscar perché evita il documentarismo etnografico pur calandosi con estrema naturalezza in una comunità e in uno spazio che non lasciano margini a dubbi. A Lunana si vive davvero così e, nonostante la corrente elettrica quasi sempre in blackout e le stufe che prendono vita grazie allo sterco degli yak, la vita è possibile ed ha una qualità specifica che non si può trovare altrove. Senza facili ammiccamenti ma con uno sguardo che sembra essere depurato da qualsiasi volontà dimostrativa la camera si cala in quello spazio. Per chi conosce il cinema di Khyenste Norbu sarà facile capire che Pawo è stato suo assistente e ne ha assorbito un modo di fare cinema in cui la naturalezza non è pura improvvisazione ma, al contempo, non si lascia sopraffare dalle esigenze delle riprese. Si osservi la presenza di Pen Zam, la piccola capoclasse che vive una vita non facile come quella del suo ruolo nel film. Basta guardarla negli occhi o vederla correre via con i suoi passettini per comprendere che non recita. Vive con semplicità il suo personaggio e vivendolo ce ne trasmette la purezza e la spontaneità.
Giancarlo Zappoli – mymovies,it