Maria e Ingvar, una coppia senza figli, che vive isolata nell’Islanda rurale, un giorno fa un’inquietante scoperta nell’ovile: una neonata il cui aspetto sta a metà tra quello di un essere umano e quello di un ovino. I due decidono di tenere la piccola con loro, per iniziare una vita familiare insieme, non rendendosi conto delle conseguenze della loro decisione.
Islanda 2021 (106′)
CANNES 74-Un Certain Regard: Prize of Originality
Lamb è un’opera prima decisamente sorprendente. Tentare di incasellarlo in un genere specifico non è semplice. Non è un horror ma contiene le atmosfere cupe tipiche del genere, è un dramma famigliare ma l’elemento fantastico sovrasta e assorbe ogni dinamica narrativa. Può ricordare lo svedese Border per il lavoro materico sui corpi immersi nel paesaggio nordico (…) Di certo Lamb è stato ampiamente influenzato dalle antiche leggende della mitologia norrena dove la natura ricopriva spesso un ruolo ostile e minaccioso.
Maria (Noomi Rapace) e Ingvar (Björn Hlynur Haraldsson) sono una coppia di allevatori di pecore che vive isolata tra le montagne islandesi. La loro esistenza sembra procedere tranquillamente tra il lavoro nei campi, la cura del bestiame e la nascita di qualche agnellino. Fra Maria e Ingvar l’atmosfera è glaciale, non si sfiorano e raramente si rivolgono la parola, come se tra di loro mancasse qualcosa, o qualcuno. Maria in particolare procede per inerzia, più che vivere sembra sopravvivere. Tutto cambia quando ricevono “un dono” inaspettato. Un giorno aiutano una pecora a partorire una creatura di cui si innamorano all’istante, decidendo di accudirla in casa propria e sottraendola di fatto alla madre naturale. La famiglia è così finalmente ristabilita e la casa acquisisce un nuovo calore, ma tutto nasce da un grave atto contro natura. L’arrivo di Petur (Hilmir Snær Guðnason), il fratello ex pop star di Ingvar, porta un punto di vista esterno e realista in una situazione paradossale. Petur reagisce esattamente come farebbe ogni spettatore in sala davanti ad una famiglia così assurda. Alla naturale richiesta di spiegazioni del fratello, Ingvar risponde di aver finalmente ritrovato la felicità.
Lamb è un film silenzioso dove le immagini e i suoni raccontano molto più delle parole. Paradossalmente senza sottotitoli tutte le dinamiche sarebbero comunque chiare e lo spettatore potrebbe seguire tutto senza alcun problema. Il freddo paesaggio nordico circonda i pochi personaggi del film che tentano di dominare questa natura così selvaggia ed incontaminata. L’essere umano fa parte della natura e l’animalità diventa parte dell’essere umano in una strana quanto inquietante fusione corporea. Gli animali non parlano ma trasmettono tantissimo grazie alla costruzione registica maniacale di Jóhannsson. Lo spettatore è portato a proiettare ansie e paure sugli sguardi ignari di gatti, agnelli e pecore. I campi lunghi si alternano ai dettagli e molto spesso i protagonisti sono inquadrati di spalle, accentuando in questo modo l’oscura sensazione di mistero che pervade l’opera.
Il film può essere interpretato con riferimenti religiosi (l’agnello di Dio e la madre Maria), oppure come metafora delle irrimediabili conseguenze di un atto contro natura. In ogni caso Lamb è un esperimento visivo interessante che disorienta ma stupisce, una volta accettato di sospendere la cinica incredulità che ci contraddistingue.
Federico Rizzo – sentieriselvaggi.it
Lamb è un film che invita ad andare in profondità, a superare ogni barriera. L’incubo si unisce alla favola, l’immaginario viene ribaltato. La classica narrazione orale legata all’incontro intorno al fuoco assume un nuovo significato. La leggenda diventa qualcosa di tangibile, e a mescolarsi sono sacro e profano. La bambina che nasce “diversa” potrebbe appartenere a una nuova stirpe, il richiamo è biblico. Ma in Lamb a dominare è anche un rinnovato senso di tenerezza. L’altro non spaventa, anzi la particolarità si trasforma nella chiave per essere amati. Il film è un’opera prima affascinante, anche se a tratti respingente. Sfida le consuete regole della narrazione (e della logica), e con il suo ritmo quieto prepara la tempesta. La donna al centro della vicenda ha il volto di Noomi Rapace, qui immersa in un paesaggio spettrale, nebbioso, fuori dal mondo. La modernità non è arrivata in quei luoghi, che rivendicano una dimensione ancestrale, fatta di solitudine e cupe credenze. Jóhannsson lavora sulle emozioni primarie, porta, senza compiacimento, i sentimenti più oscuri alla luce del sole. E costringe a confrontarsi con le pulsioni a cui non si può sfuggire, con l’impossibile che si concretizza.
Gian Luca Pisacane – cinematografo.it