Dopo la guerra di secessione l’arrivo della ferrovia vede i contadini messi alle strette per dover rinunciare alle loro terre. Usando la minaccia di una possibile confisca governativa il perfido Barshee cerca di imporre contratti capestro. Il risoluto diniego di mamma James e dei suoi due figli Frank e Jesse porta alla tragedia: additati come criminali, i due giovani devono darsi alla fuga e in loro assenza Barshee provoca la morte della donna. La vendetta di Jesse non si fa attendere e, tornato in città, lo uccide in un duello. La compagnia ferroviaria, capeggiata dell’infido McCoy, mette a questo punto una taglia sulla sua testa (1000 dollari) e a lui e Frank non resta che diventare banditi a tutti gli effetti compiendo soprattutto rapine ai treni della Wells Fargo. I James hanno dalla loro parte il maggiore Cobb, l’agguerrito editore di Liberty, la loro città natale, ma anche il marshall Will Wright non si accanisce verso i due “fuorilegge per forza”. Innamorato di Zerelda, la fidanzata di Jesse, sa comunque tenersi in disparte e anzi cerca di intercedere arrivando a stipulare un accordo che garantisce a Jesse, in caso di resa, una pena ridotta. Jesse si fida e, dopo essersi sposato, si consegna alla legge, ma McCoy non rispetta i patti e Frank deve intervenire per far evadere il fratello. Tornato alla vita di fuorilegge Jesse cerca di crearsi in ogni caso un parentesi familiare con Zee, ma lei non regge alla latitanza e dopo la nascita del loro figlio lo abbandona. Solitario e amareggiato Jesse continua per anni con le rapine, ma, sempre più irascibile, arriva a litigare con i suoi compagni e solo Frank riesce a farlo ragionare. L’ultimo colpo sarà però fatale alla banda. Oltre alla taglia (arrivata a 25000 dollari) c’è ora la promessa del governo di un’amnistia per chi aiuterà a catturare Jesse e uno dei complici, Bob Ford, si accorda con l’astuto detective Remington. La rapina alla banca di Northfile si rivela così una trappola: due vengono uccisi, quattro catturati e solo Frank e Jesse riescono a fuggire. Quest’ultimo, ferito, torna alla casa in cui aveva iniziato la sua vita familiare e, dopo che Zee lo ha raggiunto e curato, decide di smettere la sua attività criminale e di andarsene con lei e col figlioletto in California. Non farà in tempo. Bob Ford lo raggiunge con la scusa di portargli un messaggio di Frank e, mentre Jesse gli volta le spalle (per togliere un quadro dalla parete), gli spara e lo uccide. Una stele viene eretta un suo ricordo ed è alle parole del maggiore Cobbl che è affidato il commiato all’avventurosa storia di Jesse James.
Jesse James
USA 1939 (105′)
La leggenda cinematografica di Jesse James nasce con il film di Vidor (l’edizione muta di Lloyd Ingraham del 1927 merita non più di una citazione storiografica) e ha dalla sua la padronanza della macchina da presa dell’allora cinquantatreenne regista e l’impatto del technicolor di George Barnes e W. Howard Greene. C’è poi una modernità di stile e una leggerezza narrativa che lo distingue da molti titoli del periodo legati ancora alla teatralità recitativa e all’enfasi del muto. Jess il bandito è asciutto ed essenziale nelle dinamiche dell’azione: basti pensare agli approcci di Barshee, l’agente delle ferrovie senza scrupoli, con gli ignari agricoltori (e la sua stretta di mano che diventa gesto di aggressione), gli inseguimenti a cavallo cadenzati da perfetti ritmi e inquadrature, l’avvincente evasione di Jesse orchestrata da Frank. Ma Vidor sa anche dilatare tempi ed emozioni per sottolineare la dolente vicenda umana di Jesse braccato senza scampo, il suo travagliato amore con Zerelda, i contrasti con Frank e il resto della banda, la disperata fuga nell’ultima rapina. Le interpunzioni comico-satiriche affidate al maggiore Cobb (e all’impaurito carceriere della prigione) servono ad alleggerire la tensione, ma Jess il bandito è essenzialmente un appassionato dramma romantico. Lo strazio di Zee che tiene tra le braccia il corpo senza vita del marito ha un potere empatico che riesce a sublimare l’abituale intreccio del western e quei colpi mortali che pongono fine alle gesta di Jesse James immortalano nel mito la figura del bandito gentiluomo che tanti altri successivi interventi cinematografici faticheranno a scalfire.
i grandi fuorilegge del western
interpreti principali: Tyrone Power (Jesse James), Henry Fonda (Frank James). Nancy Kelly (Zerelda Cobb), Randolph Scott (Marshall Will Wright), Jane Darwell (mamma James), Henry Hull (maggiore Rufus Cobb), Brian Donlevy (Barshee), Donald Meek (McCoy), Slim Summerville (carceriere), J. Edward Bromberg (detective Remington), John Carradine (Bob Ford)
NOTE:
Jesse Woodson James (Missouri 5/9/1847 – 3/4/1882) – Alexander Franklin “Frank” James (Missouri 10/1/1843 – 18/2/1915)
Henry King parte dalla pace agreste in cui immerge Jesse e Frank per dare maggior contrasto emotivo alle motivazioni della loro ribellione. Un escamotage decisamente efficace, ma che cozza contro la realtà storica. Nel 1863 infatti il patrigno di Jesse e il ragazzo stesso (allora solo quindicenne) furono torturati dai militari nordisti per estorcere loro informazioni sugli spostamenti delle truppe ribelli di Quantrill. Ed è proprio alla banda di Quantrill che dapprima si aggregherà Jesse dopo che la madre e la sorella sono state imprigionate e violentate dai soldati federali.
Nella sequenza della rapina a Northfile la banda indossa degli spolverini bianco-sporco e nella fuga Jesse e Frank infrangono coi loro cavalli la vetrina di un negozio. Due tratti distintivi della rappresentazione iconografia delle avventure di Jesse James che si ritroveranno nei film successivi.
Jess il bandito fa da battistrada ad una ricca filmografia fatta di titoli non sempre memorabili. Il vendicatore di Jess il bandito (1940), che segue a ruota il film di King, ne mantiene i riferimenti del cast (Frank James è ancora interpretato da Henry Fonda e Bob Ford – che recita in teatro la sua impresa – è sempre John Carradine), ma non riesce ad essere incisivo pur toccando un tema come quello della vendetta caro al regista Fritz Lang. Nel 1950 solo il significativo richiamo storico dell’adesione dei fratelli James alla guerriglia di Quantrill può far concedere un citazione al mediocre I predoni del Kansas e delude anche il puntiglioso remake di Nicholas Ray (La vera storia di Jess il bandito – 1957) che, partendo proprio dalle sceneggiatura di Jess il bandito, prova ad innestarvi la sua eccentricità autoriale senza però portare a compimento quella ballata ribelle e anticonformista che era nelle sue intenzioni (il film gli fu tolto di mano prima della fine delle riprese).
Occorre arrivare al 1972 per trovare in La banda di Jesse James (scritto e diretto da Philip Kaufman) una rivisitazione originale che fotografa un west demitizzato (e piovoso), succube del nuovo cinismo capitalista ad ancorato ad antieroi incapaci di tenere a bada le proprie intemperanze e insicurezze. Sulla stessa deriva di un western ormai crepuscolare opera Walter Hill con I cavalieri dalle lunghe ombre (1980): una regia solida, una curiosa simmetria tra i rapporti di parentela dei protagonisti e degli interpreti, e la lezione sempre presente di Sam Packinpah fanno del suo The Long Riders un titolo cardine nella filmografia di Jesse James.
Con L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford Andrew Dominik (2007), cerca di scavare nei rapporti intercorsi negli ultimi anni tra Jesse James e il suo assassino. Un ritratto psicologico a due facce che lascia sullo sfondo la latente schizofrenia del Robin Hood del Missouri per porre lo sguardo sul travaglio interiore di Bob Ford combattuto tra emulazione e invidia. L’aura mitica del western si fa opprimente quando è il codardo a rubare la scena all’eroe.
FRASI:
Il maggiore Cobb, rivolto a Jesse:“La gente ormai non sa più odiare come una volta; sono smidollati, devo proprio dire che mi piace un uomo all’antica che sa odiare”
Il medico parlando di Jesse con Will, dopo il parto di Zee:“Gli dica da parte mia che il marito che non sente il dovere di stare vicino alla moglie in un caso simile non può essere che un poco di buono”
Zee a letto, accudita dal maggiore Cobb: “Sono stanca di pensare, è sempre questa la nostra vita. Siamo come animali, animali in trappola. Si scappa, ci si nasconde, si trema ad uscire; giorno e notte rintanati, terrorizzati da un’ombra sul muro, da un passo nella strada, da una porta che si apre (…) Non cambierà mai. Jesse sarà un bandito tutta la vita, adesso lo so. È indomabile, è come un cavallo che non si tiene. È selvatico ormai e né tu né io né lui né altri possiamo far nulla per cambiarlo.”
Will rivolto a Zee: “Non è più il Jesse che tu hai amato, quello è finito, finito da tanto tempo. Con l’altro ero amico anch’io, ma con questo… Questo è cattivo (…) Non capisci Zee, è una canaglia (…) Se ci si lascia andare così non ci si riprende. Non è più un eroe che lotta contro l’ingiustizia, è una belva”
l’epitaffio del maggiore Cobb: “Noi non vogliamo negarlo, Jesse era un fuorilegge, un bandito, un criminale. Anche quelli che gli volevano bene non hanno niente da dire. Ma non ce ne vergogniamo. E lo so perché. Ma credo che neanche l’America si vergogni di Jesse James, Forse perché era audace e ardito come tutti noi vorremmo essere qualche volta. Forse perché ci rendiamo conto che la colpa non era tutta sua, ma che era il prodotto dell’ingiustizia del suo paese. Forse perché per dieci anni ha preso in giro il Governo o perché faceva sempre bene quello che faceva. Io non lo so. Io so soltanto che egli era uno dei più maledetti, dannati, infernali bravacci, ma anche il più generoso che sia mai vissuto nel territorio degli Stati Uniti d’America”
SEQUENZE:
il duello al saloon
la rapina al treno
l’inseguimento e i dollari al vento
in trappola a Northfile, la fuga
il tuffo nel fiume
la morte di Jesse