Mehmedalija Alić, un minatore incaricato di entrare in una miniera chiusa, quella di Santa Barbara nella regione di Huda Jama, fece, dopo due anni di lavoro, una tremenda scoperta. Quello che aveva trovato non era carbone o argento, come nel lontano passato quella miniera generava, ma corpi di uomini e di donne. Erano profughi di guerra, cementati dal 1945…
Rudar
Slovenia 2017 (103′)
La storia contemporanea ha i suoi segreti, le sue lacune, le sue fragilità. A volte restano sepolte dalla paura, dall’incuria della memoria collettiva, dal sottinteso odio che giustifica il proprio silenzio con il vittimismo dei torti subiti. Nel Segreto della miniera la regista slovena Hanna Slak scrive e dirige una storia vera, che conosce bene.
Una storia recente: sono trascorsi solo dieci anni da quando un minatore, Mehmedalija Alić, incaricato di entrare in una miniera chiusa, quella di Santa Barbara nella regione di Huda Jama, fece, dopo due anni di lavoro, una tremenda scoperta. Quello che aveva trovato non era carbone o argento, come nel lontano passato quella miniera generava, ma corpi di uomini e di donne. Erano profughi di guerra, cementati dal 1945: a oggi sono 800 quelli estratti, su un totale ipotizzato di 4.000 salme. All’epoca il paese si divise, ma ancora oggi sono molti coloro che non vogliono credere all’evidenza.
Nel 2010 la regista Hanna Slak entra in contatto con Mehmedalija Alić, e scrive insieme a lui la sua autobiografia, No one. La scrive perché la sua testimonianza diventi parte della memoria collettiva europea per poi dirigerne Il segreto della miniera, un film ispirato a quella vicenda, centrato, però, sul dramma personale di un uomo che cerca solo la verità. Protagonista è Alija (Leon Lučev, uno degli attori croati più apprezzati), un minatore che lavora per una compagnia mineraria privata, diretta da un giovane senza scrupoli. Da bambino è fuggito da un villaggio della Bosnia Erzegovina, lasciando sua sorella Mirsada. Ora è padre, ha due figli, la ventenne Elma e il piccolo Samir. È onesto, attento, e soffre soprattutto quando suo figlio racconta, dopo una lezione a scuola, cosa è stato il massacro di Srebenica, dove 8.000 musulmani di qualsiasi età sono stati uccisi dalla polizia serbo – bosniache.
Quando gli viene affidato il delicato compito di entrare da solo nella miniera di Santa Barbara, sigillata da tempo, Alija si oppone debolmente perché non può permettersi il lusso del licenziamento. L’unico aiuto che può ottenere è quello di un inesperto sedicenne stagista pagato dalla scuola.La realtà si alterna agli incubi, ai ricordi che evidenziano l’interiorità dei personaggi principali, smascherano i limiti personali, manifestano, nella tragedia, la necessarietà dei legami. Anche quelli in apparenza più distanti, come quello tra un padre integerrimo e una figlia ventenne che vuole avere in mano la propria vita, il proprio futuro, anche se lontano dalla famiglia.
In questo film che ha la durezza della realtà e la potenza dell’amore, Hanna Slak ha lavorato sulla luce e sul buio, sul fuori e sul dentro della miniera, per dare ancora più profondità a una storia che è una ferita ancora aperta. Lo ha fatto, creando un lungometraggio di finzione, non per paura della realtà, ma per dare spessore al coraggio di un uomo, la cui morale dipende dall’amore per la verità e non dall’attaccamento alla propria esistenza.
Emanuela Genovese – cinematografo.it