USA/Canada 2022 (114′)
VENEZIA – Non è facile accostarsi al western di questi tempi. Pesano ancora le entrata a gamba tesa di Tarantino, ma è un buon segno che, dopo l’Old Henry di Venezia 78, anche quest’anno si ritrovi in rassegna un titolo che prova a riportarci alle atmosfere classiche del genere. Il fatto che la firma sia di Walter Hill (I cavalieri dalle lunghe ombre, Geronimo e una filmografia che ha spesso toni riconducibili al western) era già di per sé una garanzia, ma l’ottantenne regista osa reimmergerci nella tradizione e contraddirla al contempo puntando su personaggi apparentemente senza troppe sfumature psicologiche, su paesaggi bruciati dal sole dove l’erba delle praterie è un ricordo lontano e forzando la mano con una fotografia desaturata.
Siamo nel 1897, in New Messico e il cacciatore di taglie Max (Christoph Waltz) viene ingaggiato da un ricco uomo d’affari di Santa Fe per recuperare la moglie Rachel (Rachel Brosnahan), rapita da Elijah, un soldato afroamericano disertore. La missione, pur potendo contare sull’aiuto dell’esperta guida di Alonzo (altro buffalo soldier, commilitone e amico di Elijah), si rivela però complicata e pericolosa poiché una volta giunti in Messico, a Chihuahua, si scopre che in realtà la donna è in fuga dal brutale marito, proprio con la complicità del soldato che l’accompagna. La tematica ricorda quella di I professionisti (1966) ma la solidale intesa dei quattro mercenari di Richard Brooks si risolve qui in singoli, spiazzanti colpi di scena dove ognuno deve preoccuparsi di sé stesso. Quando Max si rende conto della situazione deve infatti prendere posizione fronteggiando l’arroganza crudele del committente, i biechi interessi dello spietato proprietario terriero Vargas e lo spirito di vendetta di Joe (Willem Dafoe), un fuorilegge che ha scontato la sua pena in carcere ma che non ha perdonato chi lo aveva spedito dietro le sbarre.
Una trama complessa (e ricca di sorprese) per uno stile asciutto e malinconico e una dinamica narrativa antieroica dove le istanze di ogni personaggio cercano un qualche sbocco con fermezza e disillusione. La figura di Rachel, la cui amara esistenza è delineata con concisa efficacia, fa da perno allo sviluppo del racconto e se il fuorilegge di Dafoe è compresso in una descrizione troppo caricaturale, il Max di Waltz ha in sé i tratti leggendari del pistolero tutto di un pezzo, saldo nell’impugnare l’arma e nel mantenere i propri principi. La dedica a Budd Boetticher esplicita le intenzioni di Hill nel propendere per un cinema scarno ed essenziale, ma la “potenza di fuoco” di Dead for a Dollar non si ferma alla efficace risoluzione di colpi di pistola e duelli, arrivando ad estrapolare la componente epica in una riflessione dove al crepuscolo del mito si affiancano temi come la cinica prospettiva del capitalismo e la rivalsa dell’emancipazione femminile (“porterò la mia cicatrice come un trofeo”).
Ezio Leoni – MCmagazine 76