Crimes of the Future

David Cronenberg

In un futuro non troppo lontano, la specie umana sta ancora imparando ad adattarsi a un ambiente sintetico, che provoca nel corpo varie mutazioni. Gli esseri umani, infatti, sono stati portati oltre il loro status naturale e ora devono affrontare delle metamorfosi, che alterano la loro stessa composizione biologica. Saul Tenser, un noto artista performativo, ha abbracciato a pieno questa nuova situazione, mostrando pubblicamente in alcune esibizioni i cambiamenti che avvengono negli organi interni del suo corpo.?

 

USA 2022 (147′)

Il corpo come realtà ultima nell’era della totalità virtuale. Dopo un intervallo di otto anni durante il quale ha parlato molto di Netflix e suggerito che forse il cinema non lo interessava più, David Cronenberg torna alle radici con un film che riprende i temi più profondi della sua opera – dai primi mediometraggi, di cui questo echeggia il titolo, al body horror di Videodrome e eXistenZ, agli strumenti ginecologici di Inseparabili, alla sessualità lancinante di Crash – e li porta più avanti, in modo sia rigoroso che commovente. Presentato in prima mondiale a Cannes, dove Cronenberg era già stato più volte, insieme a EO di Skolimowski (a suo modo un body horror anche quello), Crimes of the Future rivendicava un’idea di cinema forte, libero, indipendente, apolide e profondamente fisico, sia nel gesto che nelle idee.
Costretto a girare in Grecia per via dei costi e della pandemia, Cronenberg non si è però lasciato sedurre dalla palette mediterranea. Il mare – nemmeno azzurro – si vede a malapena all’inizio del suo nuovo Crimes of the Future (il primo era del 1970), nell’immagine apparentemente innocente di un bambino che gioca vicino all’acqua. Dopo avere stemperato quel momento di serenità in un crimine orribile, il regista canadese lascia che il suo nuovo film si snodi sepolcralmente sullo sfondo di rottami di navi arrugginite, stradine strette e deserte costeggiate di palazzi decrepiti, corridoi che sembrano quasi delle catacombe. Quando non è nero di notte, il cielo è un tetto grigio, opprimente. Il mondo di Crimes of the Future è un mondo esausto, dalle cui ceneri forse scaturirà qualcosa di nuovo, forse no. Come esausto sembra Saul Stenser, il suo protagonista (Viggo Mortensen), un artista dal look ascetico, come quello di un monaco, il cui corpo autoproduce (forse coscientemente) organi non umani che poi vengono estratti in elaborate sessioni di performance art condotte insieme alla sua partner/amante, Caprice (Lea Seydoux) e donati a un ufficio governativo segreto, in cui Don McKellar e Kristen Stewart hanno il compito di catalogarli, come pezzi da museo. Per adeguare il suo quotidiano agli «estranei» che stanno crescendo in lui, facendosi lentamente spazio tra ossa, polmoni, stomaco e deformandone le funzioni, Stenser è costretto a mangiare con l’aiuto di una sedia speciale che dovrebbe facilitare il passaggio del cibo nel sistema e a dormire in un guscio/pod capace di sentire il suo dolore e minimizzarlo grazie a dei bracci mobili. È attraverso il pod che lui e Caprice riescono a fare sesso – il loro un amplesso che sa più di tenerezza che di desiderio, come se fosse esausto anche lui.

Siamo un passo in là rispetto a Crash, come aveva notato il regista a Cannes in un’intervista a «France Culture»: «In Crash la sessualità era onnipresente ma restava abituale (a parte il fatto che i personaggi facevano l’amore in macchina) mentre in Crimes of the Future il sesso si è allontanato dalla norma. I personaggi sono meno direttamente coinvolti…Quello che aveva veramente scioccato il pubblico in Inseparabili era che il piacere passasse attraverso degli strumenti ginecologici. Un artista mette tutto nella sua arte – il suo gusto, la sua anima e persino il suo corpo. Mi sembra evidente. Alcuni vanno fino al punto di non ritorno, all’irrimediabile. Così ho pensato all’organografia di Saul Stenser: i nuovi organi che scopre all’interno del suo corpo ed esibisce sono anche loro delle creazioni artistiche».
In realtà, oltre alla riflessione sul processo artistico descritta qui sopra dal regista, Crimes riposiziona l’esistenzialismo che attraversa tutto il cinema cronenberghiano, la dialettica dell’identità e della mutazione, cosa significa farsi «altro» (o, nel caso dell’amore, darsi a un altro) in un modo che va aldilà della sua fascinazione per il rapporto tra umanità e tecnologia. In direzione sia più radicale che dolorosamente disillusa. L’elemento nuovo insidiatosi nel corpo del bambino che giocava sulla spiaggia, e di cui si nutrono i membri di un gruppo underground che entra in contatto con Stenser, non è il prodotto di una tecnologia che ne avrebbe ampliato le funzioni pur complicandone l’identità. È invece una materia nera, dura, opaca e morta come un pezzo di plastica. Crimes of the Future è la fine del mondo.

Giulia D’Agnolo Vallan – ilmanifesto.it

Si apre con l’immagine di un relitto Crimes of the Future, ritorno dietro la macchina da presa per David Cronenberg a otto anni di distanza dal precedente Maps to the Stars. Un relitto che rappresenta indubbiamente un’umanità arrivata al capolinea e pronta (costretta?) a rinascere in una nuova carne: un superamento dell’umano, quest’ultimo, che passa anche dal mangiare la plastica come unica chiave possibile per poter metabolizzare e sopravvivere in quel nostro presente che l’umanità ha reso una discarica a cielo aperto. Quel relitto abbandonato, però, è anche (parte) di quel cinema di Cronenberg del passato («siamo obsoleti», dicono i due personaggi principali in un momento chiave della pellicola) che torna a pulsare in questa nuova veste, ibridata con i suoi lungometraggi più recenti. Crimes of the Future (titolo omonimo di uno dei primi “esperimenti” di Cronenberg, datato 1970) è un’operazione in cui il regista canadese unisce il body horror della prima parte della sua carriera con l’attenzione alla parola e gli spunti teorici dei suoi film immediatamente precedenti, dando vita a una sorta di sintesi di tutta quanta la sua filmografia. Si passa naturalmente anche da “titoli in mezzo” come Videodrome, Crash e eXistenZ, richiamati in maniera esplicita in un film che parla della chirurgia come nuova forma di sessualità e di un mondo in cui si cerca di ritrovare, anche attraverso il passaggio del dolore, un nuovo equilibrio tra corpo e tecnologia. Riflessioni teoriche importanti in un film che fatica però non poco a trasmetterle con il giusto coinvolgimento: Crimes of the Future funziona più di testa che di cuore, rivelandosi una pellicola che, paradossalmente, risulta troppo cerebrale e poco carnale. Se questo si riscontra nei lunghi dialoghi della seconda parte, di tutt’altra natura sono le estremamente affascinanti performance realizzate dai due protagonisti: Cronenberg spinge forte sul versante della carnal art, con riferimenti espliciti a nomi fondamentali in questo senso come Stelarc (artista che si è fatto impiantare anche un terzo orecchio) o Orlan (le protesi sulla fronte del personaggio di Léa Seydoux sembrano un omaggio). Ed è proprio in queste scene che il film si libera di eccessive sovrastrutture nel voler spiegare anche troppo le riflessioni proposte, per puntare su un cinema puro, in cui basta il corpo per poter comunicare. Nella passione vissuta dal protagonista, che si chiude con un’immagine che rimanda al capolavoro di Carl Theodor Dreyer su Giovanna D’Arco, sta tutto il senso di un’evoluzione perenne e inevitabile, aldilà di coloro che cercano di fermarla. E, nonostante tutto, questa evoluzione il cinema di Cronenberg l’ha sempre avuta: Crimes of the Future crea così un nuovo tassello della sua opera, andando ancora avanti e alla ricerca di una sintesi (impossibile?) tra il suo cinema delle origini e quello del decennio precedente, tra l’organico del passato e il sintetico del nostro presente..

longtake.it

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