In una grotta delle Alpi Apuane, a 650 metri di profondità, si trova una delle opere più ambiziose e affascinanti dello scultore Filippo Dobrilla: Il gigante dormiente. Un colosso nudo, addormentato nel cuore della terra, al quale l’artista ha continuato a lavorare per più di trent’anni, calandosi nell’oscurità della caverna. Ma cosa spinge un artista a realizzare un’opera quasi inaccessibile, nascosta agli occhi degli uomini?
Italia/Svizzera 2021 (91′)
Dopo essere stato assistente alla regia per registi del calibro di Luca Guadagnino e Claudio Giovannesi, Tommaso Landucci ha presentato a Venezia, nelle Giornate degli Autori, il suo primo sorprendente lungometraggio Caveman – Il gigante nascosto, che si muove fra gli amori giovanili del suo protagonista, il suo desiderio di isolamento, la sua idea di arte pura. Immergersi nell’oscurità della grotta significa per Filippo rifugiarsi in un luogo dove può sentirsi libero, protetto e distante dai pregiudizi e dai condizionamenti della società contemporanea. Ma l’inattesa scoperta di un tumore cambierà la sua vita in modo radicale. Tommaso Landucci rende omaggio ad un uomo che ha trasformato la sua arte, delicata e coraggiosa, in vero e proprio testamento. Il film ritraccia gli ultimi anni di vita dello scultore italiano Filippo Dobrilla indagando nella sua intimità, svelando, senza mai bruciare le tappe di una relazione artistica che si è trasformata in profonda amicizia, ciò che davvero nutre la sua insaziabile ma sempre discreta creativit
Caveman è nutrito al contempo dallo sguardo meticoloso e sincero di Landucci e dalla forza tranquilla e misteriosa di Dobrilla, una fusione perfetta che da vita ad un film che tocca nel profondo. Bagnato da una luce caravaggesca (Francesca Zonars si è occupata della fotografia insieme a Tullio Bernabei per le riprese speleologiche), il film scava nei meandri della mente dello scultore e speleologo italiano in modo tanto metaforico quanto reale. È in effetti nelle viscere della terra, a 650 metri di profondità, che giace il capolavoro di Dobrilla, un gigante nudo ed addormentato che si nasconde agli occhi di tutti proprio come il suo creatore. Un piacere “colpevole” di cui lo scultore ha goduto in segreto insieme a colui che sembra essere stato il suo più grande amore di gioventù.
Dobrilla, come molti uomini nati in una società ancora fortemente patriarcale ed eteronormativa, gioca il gioco perverso della “normalità” senza però veramente nascondere la sua vera natura: introversa, introspettiva, libera da ogni categorizzazione: di genere, sessuale, sociale o altro. Cosciente delle difficoltà legate alla sua posizione di “disoccupato dell’arte che non smetterà mai di scolpire”, per riprendere le sue parole, il protagonista del film si trova comunque costretto a fare i conti, diventandone suo malgrado complice, con un mondo dell’arte ancora poco incline alla sincerità, alla fragilità e alla “diversità”. Il suo incontro con l’influente critico d’arte italiano Vittorio Sgarbi (che l’ha scoperto e lanciato nel mondo dell’arte alla fine degli anni novanta), attorniato da aitanti “assistenti” ed efebici valletti, è in questo senso emblematico. La grotta nella quale giace il suo gigante gli serve allora da rifugio ma anche da cassa di risonanza di un mondo interiore fatto di contraddizioni e molte zone d’ombra. Inafferrabile, solitario e coraggioso Dobrilla sfugge a qualsiasi classificazione, al contempo mistico, quasi naif e grande estimatore dell’orafo e scultore Benvenuto Cellini, un uomo irascibile e violento capace però di creare oggetti di incredibile raffinatezza.
Una complessità e un’ambiguità che non smettono di attraversare il film di Landucci regalandoci il ritratto sincero di un artista e di un uomo eccezionale il cui mistero non vedrà mai davvero svelato, custodito e alimentato per sempre da un imponente e tranquillo gigante solitario che giace nelle viscere della terra. Insaziabile creatore di personaggi di marmo, creta e bronzo (spesso ispirati al suo stesso corpo in movimento) che non devono rendere conto a nessuno, Dobrilla non ha mai smesso di cercare il suo posto in una società spesso troppo chiassosa, a volte ostile, indubbiamente poco inclusiva.
Dopo aver passato più di quattro anni a seguire le avventure delle sculture, fino alla sua tragica scomparsa, è allora l’anarchico discreto ma pienamente cosciente delle sue scelte che Landucci fa affiorare nel suo film, un artista e un essere umano in lotta non solo con le regole che la società gli impone ma anche e soprattutto in dialogo permanente con le sue stesse profonde contraddizioni..
Giorgia Del Don – cineuropa.org