Bosnia Erzegovina. Le diversità sono molteplici in questa zona del pianeta e la tensione qui ha un potenziale distruttivo. Non sempre. Talvolta può avere una forza creativa. Questo è il motivo per cui ogni scrittore che viaggia attraverso tali luoghi è affascinato dalla potenza di queste terre e dei suoi popoli.
Forse è possibile coesistere con il passato senza rinunciare alle proprie visioni. Forse è possibile nutrire una speranza senza disconoscere il passato. Un treno che attraversa lento il cuore dei Balcani ha molto da raccontare…
Italia/Francia/Macedonia 2021 (70′)
Da Trieste si parte, via acqua, per la Bosnia Erzegovina, verso Sarajevo, e poi Srebrenica, Tuzla, Stolac, Mostar, fino a Medjugorie. In questi luoghi intrisi di storia, all’incrocio tra religioni ben radicate e nazionalismi sempre accesi, in un impasto di lingue, si dipana un itinerario lento, non lineare. Rapsodico e diseguale come può essere la ricognizione di uno straniero in un ex teatro di guerra. Inevitabilmente incompleta, che eppure tenta di catturare l’imprendibile: le molteplici cause dello scoppio di un conflitto cruento che ha sbriciolato generazioni e sancito lacerazioni invisibili, non per questo più sanabili. E le sue conseguenze, attraversando un Paese, spesso contemplandolo dai finestrini di un treno a bassa velocità. Ci si prende il tempo di soste dovute e svolte impreviste, in ascolto dei luoghi, che siano fabbriche abbandonate, abitazioni private, cimiteri, quartieri, luoghi di culto: una casa di Sarajevo che è stata quartier generale per i reporter da tutto il mondo, una moschea dove due amiche si confrontano sul futuro, le voci di intellettuali, esponenti religiosi e militari, ma soprattutto artisti: dei “non famosi” che attraverso la musica, il canto, il balletto, il teatro, cercano una catarsi da un passato, ancora troppo vicino, di morte e violenza cieca.
Liberamente tratto dal libro omonimo di Luca Leone (Infinito edizioni, 2010) e terzo atto di un’ideale trilogia inaugurata da Adisa o la storia dei mille anni (2004) e proseguita con Sàmara (2009), Bosnia Express di Massimo D’Orzi attinge a codici e linguaggi eterogenei e un montaggio che insegue più piani, procedendo per movimenti asimmetrici. Una voce fuori campo, a momenti eccessivamente enfatica, introduce e accompagna il viaggio con un prologo favolistico; una cornice, messa in scena, vede due giovani donne silenti, circondate da ritagli di articoli di giornali italiani; alcuni cinegiornali italiani in pellicola documentano la fragile convivenza di Oriente e Occidente e i passaggi epocali, come la dittatura e morte di Josip Tito, di cui D’orzi riprende il tunnel segreto e centrale di spionaggio, scoperto di recente e attuale meta di visite guidate; alcuni concisi interventi di informati osservatori di guerra; rapidi inserti di insostenibili immagini sul campo (tra cui il famigerato generale Ratko Mladic). L’obiettivo non è l’inchiesta giornalistica, che presto denuncia il proprio autosabotaggio, semmai la deviazione come metodo, la ricerca di momenti lirici, sospesi, che con la loro astrazione colgano l’indicibile, scartando il reportage accorato, il documento classicamente inteso, a favore di un approccio più liberamente sensoriale. Tra questi segmenti lo sguardo della macchina digitale intercetta paesaggi carichi di fatalità, come le domande che prendono vita dal ponte di Mostar (fulcro narrativo anche di I tuffatori di Daniele Babbo).
La chiave che il film sceglie è rileggere la guerra attraverso l’impatto che ha avuto e ha sulle donne, che infatti costellano il tragitto, da un coro locale fino al gruppo che sale a piedi nudi verso il santuario cattolico. Si esplicita man mano la precisione del progetto politico del loro annientamento, e in conseguenza di questo, dell’intera società libera. Al posto delle testimonianze delle superstiti il film inanella canti, sguardi, passaggi creativi di saperi, nelle aule di una scuola come in un’accademia di danza, in una lezione al conservatorio o in una sala prove. La vita che lentamente ma con decisione si riprende il proprio spazio, sempre all’erta per la minaccia del Baba Roga, la creatura soprannaturale e terrificante delle leggende baltiche, “il mostro che si nasconde nelle pieghe della Storia”.
Raffaella Giancristoforo – mymovies.it