La storia dell’artista e attivista di fama internazionale Nan Goldin, narrata attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati, e segnata in modo profondo dalla battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti da overdose da farmaco.
All the Beauty and the Bloodshed
USA/Canada 2022 (114′)
VE 79: Leone d’oro
VENEZIA – Inaspettato, ma meritatissimo oltre che coraggioso il Leone d’oro al documentario di Laura Poitras incentrato sulla battaglia condotta dalla nota artista Nan Goldin contro la famiglia Sackler e la Purdue Pharma, produttori dell’OxiContin, narcotico antidolorifico responsabile di un’epidemia di dipendenza che negli Usa ha causato oltre 400.000 vittime. Dall’incontro tra due donne, che, con linguaggi diversi, hanno scelto nella loro carriera artistica di porre il dito nelle piaghe della società contemporanea, è uscita quest’opera che supera la dimensione documentaristica per diventare una narrazione avvincente di una fetta di storia americana.
Laura Poitras dopo My Country My Country (sull’occupazione dell’Iraq), ha vinto il premio Oscar nel 2014 con Citizenfour su Ed Snowden, e ha presentato a Cannes nel 2016, Risk su Julian Assange. Nan Goldin artista e attivista è una fotografa di fama internazionale, che attraverso le sue foto, presenti in tutti i più importanti musei di arte contemporanea del mondo, ha raccontato la sua vita e quella dei protagonisti della cultura underground degli anni ’70 e ’80, in una specie di album di famiglia, che mostra momenti intimi di amore, di violenza e di perdita. La Poitras nell’intento di denunciare, attraverso il suo film, un altro tema scottante della contemporaneità americana e non solo, ha dovuto fare i conti con la personalità e il vissuto di colei che è stata protagonista di questa battaglia e la cui biografia oltre che la sua arte sono entrate inevitabilmente a far parte del film. “Ho iniziato a lavorare a questo film con Nan nel 2019, due anni dopo che aveva deciso di sfruttare la sua influenza come artista per denunciare la responsabilità penale della ricchissima famiglia Sackler nell’alimentare la crisi da overdose. Il processo di realizzazione di questo film è stato profondamente intimo. Nan e io ci incontravamo a casa sua nei fine settimana e parlavamo. All’inizio sono stata attratta dalla storia terrificante di una famiglia miliardaria che ha consapevolmente creato un’epidemia e ha successivamente versato denaro ai musei, ottenendo in cambio detrazioni fiscali e la possibilità di dare il proprio nome a qualche galleria. Ma mentre parlavamo, ho capito che questa era solo una parte della storia che volevo raccontare, e che il nucleo del film è costituito dall’arte, dalla fotografia di Nan e dall’eredità dei suoi amici e della sorella Barbara. Un’eredità di persone in fuga dall’America”.
Ne è scaturito un film coinvolgente e stimolante proprio grazie al modo in cui sono stati montati i materiali (diapositive, fotografie, filmati, dialoghi intimi, interviste) che intrecciano il passato e il presente di Goldin, l’aspetto profondamente personale e quello politico con la sua produzione artistica. La storia inizia con P.A.I.N., gruppo da lei fondato per indurre i musei a rifiutare i fondi Sackler, togliere lo stigma alla dipendenza e promuovere strategie di riduzione del danno. Ispirato da Act Up, il gruppo ha orchestrato una serie di proteste atte a denunciare i Sackler e i crimini della Purdue Pharma, produttrice dell’ossicodone. Ai momenti clou di queste manifestazioni al Guggenheim, al Metropolitan di New York, al Louvre a Parigi e in altri importanti musei, la regista alterna interviste con la Goldin e immagini delle opere dell’artista che fortemente rimandano alla sua travagliata biografia. Dalla famiglia disfunzionale e anaffettiva e il suicidio della sorella adolescente, che riaffiorano dai suoi primi scatti giovanili, alla frequentazione del famoso night club di Boston The Other Side, punto di riferimento di tutta la cultura underground, dove ha realizzato una serie di fotografie in bianco e nero delle drag queen, mostrando la loro fisicità, con rispetto e amore. Dopo il trasferimento a New York la sua attenzione si concentrerà soprattutto sull’East Side della città e sulla sua comunità, sulla scena punk e new wave che vede nell’uso dell’eroina un comune denominatore, dove fotograferà i suoi amici nell’intimità quotidiana. Sono gli anni di uno dei suoi capolavori, ispirato ad un’opera di Bertold Brecht, The Ballad of Sexual Dependency: che consisteva nella proiezione sui muri dei locali di una serie di diapositive e che mostrava con crudezza la sfida alla morte di quella generazione che abusava di droga, alcol, con esistenze al limite. Così come nel 1989 con la mostra Witnesses: against Our Vanishing avrebbe raccontato le proteste di una comunità assediata dall’epidemia di AIDS. Negli anni ’90, dopo un lungo periodo di disintossicazione, la Goldin troverà un’altra strada in cui poter esprimere la sua creatività, e la natura diventerà la protagonista dei suoi lavori.
Sono oltre 900 le immagini istantanee che raccontano la sua storia e sapientemente Laura Poitras lascia scorrere all’interno del film quelle fotografie dalla composizione imperfetta, spesso addirittura sfocate, di un mondo disperato, che cammina funambolicamente tra dipendenze, amore e morte. All the Beauty and the Bloodshed, bellezza e spargimento di sangue (citazione da Cuore di tenebra di Conrad) è un titolo non programmatico, ma poetico. La poesia dell’arte, che non sempre è conciliante, è stata utilizzata dalla regista per condurre il suo pubblico dentro una narrazione, quella sì, di sangue, in questo film reso eccezionale proprio dalla polifonia della storia che trova una sola voce: quella della realtà dei fatti.
Cristina Menegolli – MCmagazine 76