Jim Cummings, regista e interprete ci porta nel nuovo mondo americano in cui il genere maschile è diviso fra il suo stereotipo e il suo opposto. La storia è quella di Jim Arnaud, un poliziotto texano alla deriva dopo la morte della madre, tra una crisi familiare e le problematiche sul lavoro. Una commedia drammatica che fa del concetto di trasmissione emozionale la sua cifra stilistica, delineando una profonda e quanto mai complessa poetica.
USA 2018 (92′)
Jim Arnaud è un poliziotto texano alla deriva. Dopo la morte della madre, e un’orazione funebre che moltiplica le gaffe e inciampa sulle parole di Bruce Springsteen, prova a condurre una vita personale e professionale esemplare. Ma la vita non gli risparmia niente. Il suo divorzio va per le lunghe, il dialogo con la figlia, che vede troppo poco, langue, la sua relazione coi superiori è complicata. Per quanto si sforzi non riesce a canalizzare le emozioni: perde i colpi, fa sempre la cosa sbagliata, finisce (letteralmente) in mutande. Agente borderline in un’America sull’orlo di una crisi di nervi, troverà la pace negli occhi della sua bambina e una chance in Thunder road, ode americana alle nuove partenze.
Prima di essere un lungometraggio, Thunder Road era un corto, matrice e prologo di un film a venire. Un cortometraggio indipendente che Jim Cummings volge in apertura in un piano sequenza memorabile, dieci minuti che avvicinano progressivamente un poliziotto in uniforme che ascoltiamo pronunciare in chiesa un discorso funebre per la madre. I ricordi si mescolano indisciplinati con i rimorsi. Il figlio dolente racconta episodi sparsi della vita del genitore, la sua passione per Bruce Springsteen e in particolare per Thunder road, che presta il nome al film. Prova a lanciare la ballata col lettore CD di sua figlia che non parte. Decide di cantarla ma non ci riesce. Allora Jim la interpreta, in silenzio, a lungo. Una partitura di salti e gesti muti eseguita davanti a una platea sbalordita quanto il pubblico in sala.
Comincia così Thunder Road, come un lento principio di incendio che anticipa tutta la follia e la dismisura del protagonista sempre in campo, caricatura dell’uomo in contro tempo che perde sua madre prima di perdere tutto. Autore, attore, montatore, produttore e in larga misura compositore, Jim Cummings è onnipresente, fa tutto e sa fare tutto. Megalomane come solo Vincent Gallo prima di lui, ha una voracità creativa che declina in ogni incarico ed esprime un desiderio imperioso, un’urgenza impetuosa che rendono il suo film singolare e furioso, nel modo del suo eroe. Cummings è nella quasi totalità dei piani, sul filo di un’emozione che si rovescia con uno scocchio di dita nel suo contrario. Crollato sotto il suo stesso imbarazzo e rimbalzato l’istante dopo da un nuovo sisma, il protagonista accumula gli errori e le cantonate, aggrappandosi come un pazzo al solo bagliore della sua vita, sua figlia. Attore e personaggio sembrano condannati a prodursi in scena da soli, agitano le braccia nel tentativo vano di fuggire il quadro, di trovare la replica che stemperi l’effetto infelice della battuta precedente. Ma quel loro permanere in scena lascia allo spettatore il tempo dell’empatia, di ridere talvolta della maniera singolare che hanno i due Jim di regolare i loro affari o di guardare con terrore gli sforzi (ir)razionali per cavarsela da soli sotto i riflettori.
Tra dramma e commedia, tra risate e lacrime, Cummings sfiora la perfezione rifiutando con tutta la sua forza il ruolo del maschio dominante, assegnato dall’America machista. Sotto l’uniforme virile (ma sempre troppo larga) e dietro i baffi ordinati del poliziotto bianco e texano, un uomo si dibatte e rivendica il bisogno di un affetto permanente che tocca il cuore. Portatore di un senso di colpa tenace e di una volontà costante di irreprensibilità, Jim è un ‘caso a parte’ nello Stato del Texas. Un outsider che avanza sull’orlo del precipizio, provando a rimediare suo malgrado quello che può. Ma alla fine la vita gli accorda un’altra chance, la possibilità di respirare meglio e magari di fallire ancora un po’.
La chiave è la canzone del titolo, è nelle parole di Bruce Springsteen che Jim trova la maniera di uscirne. Thunder road racconta la storia di un ragazzo che propone alla sua ragazza di lasciare la loro “città piena di perdenti” per vincere altrove. La canzone di Springsteen non è un pretesto e suona perfetta al cuore del film, perché canta di gente sconfitta che vorrebbe trovare soltanto un po’ di felicità. Jim la sussurra a sua figlia per ridarle coraggio, proprio come sua madre faceva con lui da bambino. Come una preghiera, Thunder road si recita e si trasmette di generazione in generazione. E la trasmissione è uno dei soggetti del film. Prendendosi tutto lo spazio, Jim Cummings rinnova il genere ‘cinema indipendente’ con un film-performance totalmente stonato. Un dramedy sregolato che possiamo solo amare. Pazzamente.
Marzia Gandolfi – mymovies.it