The Girl In The Fountain

Antongiulio Panizzi

Persona e personaggio di un film non sono la stessa cosa e, per una vita, Anita Ekberg, bellezza dirompente immersa nella Fontana di Trevi si è battuta per dimostrarlo. Il film è il racconto di un’attrice divorata dalla sua stessa icona attraverso la voce e la sensibilità di Monica Bellucci che con attenzione e delicatezza si mette alla ricerca di quel personaggio, per riscattarne la figura stereotipata della “ragazza nella fontana”.


Italia/Svezia 2021 (80′)


S
ul set de La dolce vita di Federico Fellini l’attrice svedese Anita Ekberg è “entrata nella Fontana di Trevi e nella storia del cinema, ma anche in una prigione”: da quel momento infatti Ekberg sarebbe rimasta per sempre “la ragazza nella fontana”, e il suo personaggio quello dell’attrice procace e svampita inseguita dallo sguardo pieno di desiderio degli uomini. The Girl In The Fountain racconta la sua storia, accostando a home movies, fotografie, spezzoni di film e interviste alla diva svedese nell’arco del tempo alcuni commenti in voce fuori campo e da alcune scene che il regista Antongiulio Panizzi ha girato con Monica Bellucci, chiedendole di calarsi nei panni di Anitona per aiutarlo a narrare la sua storia.

Quel parallelismo è di per sé un’idea opinabile, perché cerca una similitudine fra le due attrici basata prevalentemente sull’esteriorità. Se la tesi infatti è che l’estrema avvenenza per un’attrice possa essere anche una condanna, la carriera internazionale di Monica Bellucci non ne è la conferma, e laddove Ekberg giocava con la sua immagine, recitando se stessa anche fuori dai set, Monica Bellucci è sempre stata molto sincera e con i piedi per terra nella vita di tutti i giorni. E sarebbe stato sufficiente utilizzare solo i frammenti documentari per raccontare bene “la distanza fra la star e la donna”. Anche l’idea di non identificare chiaramente le voci fuori campo che commentano la vita di Anita Ekberg, spesso facendo osservazioni interessanti, è poco premiante, perché senza abbinare i pareri a chi li esprime non si riesce a valutare il livello di effettiva cognizione di causa sull’attrice svedese.


Resta molto interessante invece la parabola narrata dalle interviste a quella starlet capace di incarnare una femminilità sopra le righe ma interessata a vedere premiati il suo “duro lavoro e determinazione” invece che la sua bellezza esagerata, così come sarebbe stato interessante approfondire il fatto che il viversi sempre come oggetto del desiderio non l’ha posta al riparo dalle relazioni tossiche: un marito alcolizzato, l’altro imbroglione. Viene esposto anche il maschilismo della società del tempo e di alcuni personaggi, come Salvatore Quasimodo che rivolge alla Ekberg domande condiscendenti o il secondo marito dell’attrice che vuole a tutti i costi rubarle la scena durante un’intervista (a lei).
Ne emerge la figura complessa di una donna libera e generosa che “non ha potuto sfuggire da se stessa”, o meglio dall’immagine di sé che piaceva al pubblico e che lei ha per lungo tempo avvalorato. Una donna indipendente e vitale ma poco attrezzata a proteggersi e a liberarsi del piedistallo su cui era stata issata.

Paola Casella – mymovies.it

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