La storia di Manny, Joel e Jonah, che si fanno largo nell’infanzia e rispondono come possono al precario affetto dei loro genitori: il padre è portoricano, la madre bianca, e il loro amore è di quelli impegnativi, pericolosi, capaci di fare e disfare una famiglia molte volte, tra lacrime ed euforia. Jonah, diverso dai fratelli per sensibilità e sguardo, coltiva il talento del disegno…
We the Animals
USA 2018 (94′)
Premio NEXT Innovator Award al Sundance 2018
Utica, Stato di New York. Manny (Isaiah Kristian), Jonah (Evan Rosado) e Joel (Josiah Gabriel) sono tre fratellini uniti dalle difficoltà di un complicato contesto familiare e dal sogno di potergli, in qualche modo, sfuggire. Violenze domestiche e genitori assenti spingono i tre bambini a trascorrere molto del loro tempo immersi nel gioco, in casa o nelle zone vicine di aperta campagna. Jonah, diverso dai fratelli per sensibilità e sguardo, coltiva il talento del disegno, nel quale riversa le sue paure e i suoi desideri.
Interessante esordio nel lungometraggio per il regista Jeremiah Zagar, dopo una serie di esperienze nel documentario e nel cortometraggio, e adattamento per il grande schermo del romanzo omonimo di Justin Torres. Naturalismo di taglio quasi documentaristico e improvvisi sussulti di lirismo si combinano in questo insolito racconto di coming of age, girato su pellicola in 16 millimetri. Cuore pulsante del film sono i disegni di Jonah, punto di partenza per intense sequenze animate. Lo spazio del disegno si configura come luogo privilegiato di elaborazione del dolore e di ricerca identitaria per il piccolo Jonah, alle prese anche con i primi turbamenti sessuali. Il tema non certo originale della creatività come via di fuga dallo squallore della vita familiare viene così declinato con una freschezza e un’originalità di approccio che affascinano. Sembra quindi funzionare quasi tutto in questa vibrante opera prima, che costruisce buona parte della sua riuscita sul talento grezzo dei tre giovanissimi attori protagonisti. Se l’empatia con le piccole creature selvagge del film è assicurata, in qualche passaggio la scrittura del film inciampa tuttavia nel grottesco involontario e appare acerba nell’utilizzo di alcuni effetti visivi o nel ricorso a stilemi espressivi mutuati del cinema di Terrence Malick. Sbavature nel complesso perdonabili se si considera la speciale grazia che pervade il film, sostenuta dalla bella fotografia, materica e aurorale, di Zak Mulligan.
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