1880, Arizona. È un campionario di varie umanità quello che affolla la diligenza che da Tonto deve arrivare a Lordsburg, nel New Mexico, sotto la minaccia di Geronimo e dei suoi Apache: Lucia Mallory che, quasi al termine della gravidanza, vuole raggiungere il marito, ufficiale di cavalleria, Dallas, una prostituta espulsa dalla città, il dottor Boone anch’egli costretto ad andarsene causa alcolismo, mr. Peacock, rappresentante di liquori, l’aristocratico sudista Hatfield, ore incallito giocatore d’azzardo, e il banchiere Gatewood che ha appena sottratto tutto il denaro della banca. A cassetta Buck, il postiglione, e lo sceriffo Wilcox; al seguito una guarnigione del 6° cavalleria. Lungo strada si aggiunge Ringo Kid, un fuorilegge evaso che vuole arrivare a Lordsburg per una resa dei conti con i Plummer, che gli hanno ucciso il padre e il fratello e l’hanno fatto ingiustamente imprigionare (lo sceriffo lo prende sotto la sua custodia…). Le tappe del viaggio sono un crescendo di avventure e di tensione: la guarnigione ha un nuovo incarico e, dopo Dry Fok, non può più fare da scorta; alla stazione di cambio successiva, dove vengono derubati del nuovo tiro di cavalli, arrivano le doglie per la signora Mallory. Il parto va a buon fine grazie all’assistenza del dottor Boone (reso sobrio a forza di caffè) e alle amorevoli cure di Dallas. Ed è lei che, di lì a poco, di fronte alla proposta di matrimonio di Ringo, prova a dare un svolta decisiva alla vicenda convincendolo a fuggire. Ma non ce n’è il tempo. Gli Apache sono ormai sul piede di guerra, occorre lasciare subito Apache Wells, guadare alla meglio il fiume (dopo che il traghetto di Lee’s Ferry è stato dato alle fiamme) e dirigersi in fretta verso Lordsburg. Ma nella prateria alle porte della città l’attacco indiano li sorprende, inesorabile: una freccia colpisce Peacock e dopo un estenuante scontro a fuoco, Hatfield perde la vita, proprio mentre risuona la tromba della cavalleria che arriva a salvarli. Poi, a Lordsburg, si consumeranno, catarticamente, i destini di tutti: Peacock trova le cure necessarie, Gatewood viene immediatamente arrestato e la signora Mallory, con la sua bambina, potrà ricongiungersi al marito. Infine Ringo, dopo aver ucciso in duello Luke Plummer e i suoi due fratelli, si consegna allo sceriffo. Questi decide però di lasciarlo andare così che possa raggiungere, con Dallas, la sua fattoria oltre confine, in Messico.
Stagecoach
USA 1939 (96′)
Con Ombre rosse Ford supera i clichés del racconto di genere ambientando in un contesto western una commedia umana ricca di sfaccettature psicologiche e riesce a sviluppare l’emozionante avventura dei suoi personaggi cogliendo magistralmente l’essenza e l’efficacia del mezzo cinematografico.
L’apertura è negli spazi aperti con l’arrivo dei cavalleggeri, ma subito l’azione si sposta nella stanza del telegrafo: basta il messaggio troncato che arriva a destinazione (Geronimo) per creare la tensione che segnerà tutto il film. Subito dopo Ford ci introduce nella quotidianità di una città del West: basta stavolta un avvolgente movimento di macchina nelle strade di Tonto, accompagnato da musiche-traditionals, per creare l’atmosfera adatta a presentare i suoi protagonisti. Per tutti la regia riserva uno sguardo, benevolo o critico, a seconda della loro identità nel contesto del racconto. C’è evidente simpatia per Dallas, emarginata ma capace di mostrare solidale forza d’animo nei momenti cruciali, per il dottor Boone, bonariamente disponibile tanto all’alcol quanto alla solidarietà, per il sig. Peacock, così insignificante che nessuno ricorda il suo nome. La negatività della figura del banchiere Gatewood si estrinseca anche nel suo incedere altezzoso (sempre filmato quasi a riempire lo spazio dell’inquadratura) mentre sembra restare sospeso il giudizio per la moglie del capitano Mallory, che non riesce a nascondere, dietro al suo snobismo, tutta la fragilità di una donna che sta per partorire, e per Hartfield, giocatore incallito a cui è rimasta, come carta vincente, l’eleganza di aristocratico del sud. Sceneggiatura e regia sono perfette nel consolidare, nella tempistica di inquadrature e montaggio, le varie caratteristiche e psicologie, e tale “gioco” cinematografico esplode in tutta la sua forza nell’entrata in scena di Ringo: una zoomata improvvisa e incisiva che immortala John Wayne come eroe fordiano per eccellenza.
Le dinamiche interpersonali, che si evidenziano nei primi piani e negli sguardi all’interno della diligenza, crescono in intensità narrativa e figurativa nelle soste alle stazioni del cambio cavalli. È magistrale, a Dry Fok, quella attorno al tavolo, in un’inquadratura che sfrutta la profondità di campo per mettere in quadro tutte le tensioni tra i personaggi, lo sprezzante distanziamento sociale, l’intesa romantica che cresce tra Ringo e Dallas. Ed è alla loro storia che Ford dedica alcune finezze formali che bucano lo schermo: prima, con un taglio fortemente espressionistico, Ringo, appoggiato al muro, guarda Dallas che si incammina nel corridoio buio verso una porta, in fondo, che l’avvolge di luce; poi i due si incontrano all’esterno in un momento in cui il disvelarsi dei loro sentimenti è incorniciato dal contrastato bianco e nero di Bert Glennon e da una struggente partitura di violini.
Ma poi è l’avventura degli spazi aperti che riprende il sopravvento. Il panorama della Monument Valley, che aveva fatto da protagonista nell’incedere della diligenza tra il calore soffocante della prateria e il turbinare della neve, si concretizza ora come il luogo principe dell’identità del popolo indiano: quando la macchina da presa ha un brusco movimento verso sinistra ecco entrare in campo gli Apache! La regia si spende al meglio per mettere in scena l’attacco alla diligenza con il frenetico alternarsi dei campi lunghi e dei primi piani dei passeggeri intenti a far fuoco, dei pellerossa che vengono abbattuti come birilli e dei cavalli senza redini di cui occorre riprendere il controllo (straordinari gli stuntmen di cui Ford sa circondarsi), fino al memorabile ‘arrivano i nostri’ introdotto fuori campo, mentre la pistola cade dalla mano di Hartfield, ferito a morte.
Gli ultimi colpi di regia si spendono a Lordsburg: la carrellata su Ringo e Dallas che attraversano la città, il repentino tuffo in avanti di Ringo nel duello coi Plummer la cui conclusione è segnata solo dall’eco degli spari che arrivano a Dallas, l’entrata nel saloon di Luke prima di crollare sul pavimento, la partenza del calesse diretto in Messico…
interpreti principali: Claire Trevor (Dallas), John Wayne (Ringo Kod), Andy Devine (Buck), John Carradine (Hatfield), Louise Platt (Lucia Mallory), Thomas Mitchell (dott.Josiah Boone), Berton Churchill (Henry Gatewood), Donald Meek (Samuel Peacock), George Bancroft (sceriffo Charlie Wilcox)
NOTE:
Il film ha come soggetto originario il racconto Stage to Lordsburg di Ernest Haycox (che trae la sua ispirazione dal Boule-de-suif di Maupassant). Nella magistrale sceneggiatura di Dusley Nichols entrano due nuovi personaggi, il dottore e il banchiere.
Il cambio di titolo deciso per la distribuzione italiana è uno dei rari casi in cui la scelta divenne un valore aggiunto per il film. Ombre rosse: un titolo evocativo che ha aperto una nuova stagione del western.
Il panorama delle Mountain Valley, con i vasti spazi rocciosi e quei tre “butte” (Est Mitten, West Mitten e Merrick) a incorniciare lo svolgersi dell’avventura ha caratterizzato da Ombre rosse in poi il cinema western di John Ford. Ma va detto che quel fantastico paesaggio non esordisce qui: era già stato usato da George B. Seitz nel suo Stirpe eroica (The Vanishing American, 1925), “un curioso western etnografico, uno dei pochi western muti che hanno come protagonisti dei personaggi nativi americani” (A. Crespi – Cinema western)
Claire Trevor, che godeva di una certa notorietà, ebbe il suo nome come primo nei titoli di lancio e servì a dar lustro al film dopo che Ford aveva rifiutato nel casting Gary Cooper e Marlene Dietrich.
La sequenza culmine dell’attacco degli Apache fu girata con una macchina da presa posta in un’auto che, a 60 all’ora, affiancava la panoramica dell’inseguimento della diligenza.
L’originalità stilistica di Ombre rosse viene forse meno considerata rispetto a quella contenutistica, ma l’attenzione di Ford ai chiaroscuri, al contrasto di luci e ombre è un consapevole passaggio evolutivo dagli stilemi del muto. E, alla stazione di Dry Fok, quella messa in quadro del soffitto, sfruttando la profondità di campo, anticipa l’uso sistematico che ne farà Welles in Quarto potere.
Il film vinse due Oscar: attore non protagonista (Thomas Mitchell) e colonna sonora, arrangiata su motivi popolari tradizionali.
La mano di poker quando Luke Plummer abbandona il tavolo da gioco è doppia coppia nera di assi con otto, “le carte del morto” (è la stessa mano che prelude la fine di Hickock in La conquista del West).
FRASI:
Jerry, il barista: “Se le chiacchiere fossero denaro, dottore, voi sareste il mio miglior cliente“
Il banchiere Gatewood: “L’America agli americani…Il presidente deve essere un uomo d’affari“
Il sig. Peacock: “Cerchiamo un po’ di avere carità l’uno verso l’altro“
Il dottor Boone, preparandosi al parto: “Caffè, datemi del caffè, caffè nero e molto“
Dallas: “Ma voi non mi conoscete, voi non sapete chi sono” – Ringo: “Io so tutto quello che voglio sapere”
Le ultime parole di Hartfield: “Se vedete il giudice Greenfield, ditegli che suo figlio…”
Lo sceriffo Wilcox, consegnando il fucile: “Non ci sono cartucce“ – Ringo: “Ti dissi una bugia, me ne sono rimaste tre“
Il dottor Boone, mentre il calesse si allontana: “E così si sono salvati dalle delizie della civiltà.”
SEQUENZE:
Il messaggio al telegrafo
Nella strada di Tonto, l’arrivo della diligenza
L’inquadratura su Ringo
Il soffitto nella stazione di Dry Fort
L’inquadratura del corridoio a Apache Wells
La dichiarazione di Ringo a Dallas
Ringo non fugge, segnali di fumo
Gli Apache e l’attacco alla diligenza
La camminata di Dallas e Ringo a Lordsburg
Il duello
La morte di Luke
Ringo e Dallas sul calesse
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