Nahid, una giovane donna divorziata, vive sola con il figlio di 10 anni in una città sul Mar Caspio, nel Nord dell’Iran. Secondo le leggi iraniane, la custodia del figlio spetta al padre ma lui ha concesso la custodia alla moglie a patto che lei non si risposi. La relazione tra Nahid e un altro uomo complicherà la sua vita di donna e di madre.
Iran 2015 (105′)
È sufficiente un errore, una svista, una telecamera di sorveglianza, e in quel tratto di terra che si perde sulle sponde sabbiose del Mar Caspio, una donna è destinata a perdere tutto. Nahid è una giovane madre orgogliosa, che vive in affitto con il figlio in un sobborgo popolare iraniano dopo essersi separata da un marito balordo. Ostinata a voler mantenere la custodia del piccolo, tenta giorno per giorno di sopravvivere dignitosamente a una società che limita il suo diritto alla maternità con una legge per cui in caso di divorzio il bambino è automaticamente affidato al padre. Dimostrare che questi è uno sbandato scommettitore, che entra ed esce dai centri di riabilitazione per tossicodipendenti, è difficoltoso e rischia di trasformarsi in una battaglia che mette a repentaglio il precario equilibrio che le consente di passare inosservata. Il marito, infatti, le ha concesso di poter crescere il piccolo, a patto che lei non si risposi, mantenendo intatto l’onore della famiglia. Un’imposizione che costringe la donna a una vita di espedienti, ristrettezze economiche e un profondo senso d’inquietudine, alimentati dalla solitudine e dalle ribellioni del figlio troppo simile al padre.
Sarà necessario l’ingresso in punta di piedi di un nuovo amore per dare a Nahid la forza di agire e credere finalmente nel sogno di una famiglia unita. Purtroppo però le leggi islamiche parlano chiaro, appena il padre del ragazzo scopre la relazione clandestina, ufficiata da un matrimonio temporaneo, si avvale del diritto di sottrarre il ragazzino alla madre. Inermi, Nahid e il nuovo marito saranno costretti ad andare incontro alle incertezze e alla sfiducia nel sistema giudiziario, in una parabola di scontri che dà inizio a un’esplorazione antropologica oscura: la sopraffazione degli ultimi in un’estenuante lotta contro il cieco tradizionalismo governativo.
L’esordio alla regia di Ida Panahandeh, presentato in concorso nella sezione Un Certain Regard al 68° festival di Cannes, s’inserisce in un panorama di rinascita artistica del cinema autoriale iraniano. Il paese continua ad essere alle prese con una ferrea censura, e registi e autori altro non possono che rifuggire ai divieti attraverso un codice linguistico alimentato da sottotesti e suggestioni appena accennati. Perché l’Iran è innanzitutto negazione.
Il dualismo conturbante di Nahid si colora di un impercettibile simbolismo, mai propriamente esplicitato, lasciando che siano piccoli sguardi liberatori a raccontare la frustrazione della sua personale rivoluzione. Mai affrancata veramente dal conflitto morale, la scelta di osare della donna diviene emblema per un’analisi dei sentimenti e dei rapporti sociali troppo spesso ostacolati da uno stato retrogrado. Un piccolo gesto, l’interno spoglio di un’abitazione o l’uso improprio di gioielli altrui, raccontano il contrasto tra l’esigenza di modernità e gli strascichi di un pesante regime dispotico che ancora oggi costringe gli uomini – e soprattutto le donne – a vivere privati dei diritti fondamentali…
Olivia Fanfani – mymovies.it