Minari

Lee Isaac Chung

Anni Ottanta. Una famiglia di immigrati sudcoreani si trasferisce dalla California all’Arkansas nella speranza di migliorare il loro complicato tenore di vita. Le tensioni tra i genitori non aiutano l’integrazione del piccolo David e di sua sorella, ma l’arrivo della nonna dalla Corea per aiutarli potrebbe appianare le divergenze famigliari… Stile classico e cast straordinario per un intenso racconto di formazione.

USA 2020 (115′)
OSCAR 2021: miglior attrice non protagonista


I
l regista Lee Isaac Chung, nato negli Stati Uniti da una famiglia di origine sudcoreana, si è in parte ispirato alla sua infanzia per mettere in scena questo originale dramma dolceamaro, ambientato negli anni Ottanta. Al centro una famiglia di immigrati sudcoreani che fatica a sopravvivere facendo lavoretti di basso livello: il padre però è ambizioso, vuole raggiungere qualcosa di più e, per tenere unita la moglie e i figli in un momento difficile, acconsente a far trasferire la suocera a casa loro. Ed è proprio questo personaggio, interpretato dalla bravissima Youn Yuh-jung (Oscar come miglior attrice non protagonista), il più riuscito dell’intera pellicola: fortemente ancorata alle tradizioni coreane, è una nonna ben poco convenzionale, che porterà nuova linfa vitale all’interno del contesto familiare. In generale è proprio la costruzione delle varie figure in scena a risultare molto efficace grazie a un cast che fa davvero un ottimo lavoro per valorizzare i personaggi. Così gioca molto con le emozioni Minari, che riesce a regalare momenti divertenti e commoventi nel corso della visione: è un racconto di formazione particolarmente sentito dal suo autore, tanto che lo si potrebbe considerare un “nuovo esordio” nel corso della sua carriera, un’opera capace di suggerire riflessioni non banali e forte di un’elegante fotografia.
Da segnalare che il successo di Minari è iniziato al Sundance 2020, dove aveva ottenuto il Gran Premio della Giuria.

Andrea Chimento – ilsole24ore.com

…È impossibile afferrare il cuore d’America, ce l’hanno raccontato generazioni di romanzieri che spesso hanno raccontato proprio storie di immigrati e di nuovi pionieri, pronti a conquistare una fetta di terra promessa contro tutto e tutti. Minari si inserisce in questa tradizione, giocando sull’innesto di elementi coreani – alcune pietanze tipiche, la gestione delle emozioni, lo spirito imprevedibile della nonna -, divenuti più familiari per il pubblico occidentale anche grazie al premio Oscar 2020 di Parasite, in un racconto classico americano.
La metafora della pianta che dà il titolo al film, seminata da Soonja e cresciuta rigogliosa nel cuore dell’Arkansas è un simbolo, semplice ma efficace, del potere del multiculturalismo e della natura inevitabilmente policroma su cui si fondano gli Stati Uniti d’America, arricchiti dalla diversità nonostante l’intrinseca difficoltà nell’accettare quest’ultima. È tutta coreana, invece, la sensibilità verso il rapporto che intercorre tra David e Soonja: una relazione complessa che si sviluppa in un affetto così forte da divenire quasi un transfert spirituale di protezione dall’ostilità di cui è capace la natura. Senza slanci temerari, con uno stile classico nella scelta delle immagini in esterno e del montaggio così come delle musiche che le accompagnano, Chung si avvale di un cast straordinario – soprattutto grazie alla veterana Yoon Yeoh-jeong (The Housemaid, In Another Country) e al piccolo Alan Kim – e confeziona un delicato racconto di formazione, destinato a incontrare i favori di un pubblico ampio e diversificato.

Emanuele Sacchi – mymovies.it

 

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