La Tartaruga Rossa racconta le grandi tappe della vita di un essere umano, attraverso la storia di un naufrago su un’isola deserta popolata di tartarughe, granchi e uccelli. Un film in cui non contano le parole ma la fascinazione delle immagini.
La tortue rouge
Italia 2020 (122′)
Naufragato su un’isola deserta popolata solamente da tartarughe, granchi e uccelli, un uomo cerca disperatamente di fuggire, finché un giorno incontra una strana tartaruga che cambierà la sua vita. Attraverso la sua storia vengono ripercorse le tappe dell’esistenza di ogni essere umano.
Non c’è molto altro da dire sulla “trama” de La tartaruga rossa. A parlare, piuttosto, mai come stavolta è la fascinazione delle immagini. Quando l’Europa e lo Studio Ghibli si incontrano (per la prima volta) nascono fiori: scritto dalla francese Pascale Ferran e dall’olandese Michael Dudok de Wit, qui alla prima regia di un lungometraggio ma già autore di cinque cortometraggi (tra i quali Father and Daughter, premiato con l’Oscar nel 2001), con Isao Takahata (regista di molti film d’animazione, tra cui Pom Poko nel ’94) produttore artistico, La tortue rouge è un importantissimo trattato (ecologico, ambientalista, umano) sulla poesia dei suoni e delle immagini.
Già dalla prima sequenza, quel mare in tempesta che inghiotte un uomo alla deriva, siamo immediatamente catapultati in una suggestione che, capiremo poco a poco, ci chiamerà sempre più a far parte di questo nuovo incontro, quello tra uomo e natura. Che si fa ciclico, anche attraverso le dinamiche proprie del sogno, trovando nelle musiche di Laurent Perez del Mar la perfetta sottolineatura dei vari momenti del racconto. Muto per la sua interezza, anche perché come detto non servono parole, o dialoghi, quando la forma-cinema riesce ad esprimersi con questa potenza, lasciando solo alle immagini e ai suoni della natura il compito di parlarci. Non perdetelo.
Valerio Sammarco – cinematografo.it
I film animati di Michaël Dudok de Wit non hanno bisogno di parole. Lo hanno dimostrato gioielli come The Monk and the Fish, ‘ll monaco e il pesce’, una danza a due, tratto a matita come in una partitura musicale, e Father and Daughter, ‘Padre e figlia’, struggente ricordo di una figlia per il padre premiato con l’Oscar nel 2001. Proprio questo corto ha folgorato Isao Takahata, produttore e autore dello studio Ghibli. Dieci anni dopo ecco La tartaruga rossa, prodotto dalla major giapponese e dalla Wild Bunch. Presentato alla sezione Un Certain Regard all’ultimo Festival di Cannes, La tartaruga rossa è entrato nella cinquina degli Oscar (battuto dal favorito Zootropolis) e oggi arriva in sala con Bim il 27, 28 e 29 marzo. Interamente senza dialoghi, anche stavolta, racconta di un uomo che naufraga su un’isola deserta. Solo, stanco, indebolito e affamato. Costruisce una zattera per andarsene, ma qualcosa tra le onde glielo impedisce. Tentativo dopo tentativo, capirà che a sbarrargli la strada c’è una gigantesca tartaruga rossa, che assumerà un’altra forma e accompagnerà un pezzo di vita dell’uomo sull’isola, che non è sfondo ma vera protagonista. Un paradiso terrestre che può diventare inferno e in cui l’essere umano passa senza lasciare un segno, insieme a insetti, gabbiani, pesci, granchi, tartarughe. Pesca e nuotate, passeggiate e sonni in spiaggia. E l’incontro, l’amore, la nascita, l’addio. Il film è stato realizzato con una tecnica mista, tavole a mano, a carboncino e una penna grafica per animare la zattera e la tartaruga in digitale. Dudok de Wit ha lavorato sei anni al film, che affronta temi larghissimi: morte, natura, amore, senza fornire risposte né spiegazioni certe. Proprio per questo è ancor più coinvolgente e stimolante, per gli adulti ma anche per i bambini. Fondamentali le musiche di Laurent Perez del Mar.
Arianna Finos – repubblica.it